Scrolls, Saga e Sky… quando la parola comune diventa il pomo della discordia

-

Ne avevamo parlato giusto ieri, ma non potevamo fare a meno di ritornarci con un articolo specifico sull’argomento.

Come certamente avrete appreso nelle scorse ore, Sean Murray di Hello Games ha esultato via Twitter per aver vinto una causa legale (durata ben tre anni) e difeso con successo il diritto di poter mantenere il titolo di No Man’s Sky al proprio gioco in uscita ad agosto su Pc e PlayStation 4.

Il gruppo televisivo aveva ricorso in tribunale perché il titolo includeva la parola Sky che come in molti sapranno, in inglese vuol dire “cielo”.

Il giudice ha dato ragione al piccolo team inglese visto riconoscendo l’utilizzo della parola comune e, in ogni caso, non ritenendo che generi confusione tra i due prodotti.

Il fatto di registrare parole di uso comune è ormai una pratica diffusa che, a nostro avviso, non ha assolutamente fondatezza se non altro dal punto di vista pratico ed etico. Un conto è registrare un marchio impedendo ad altri di utilizzare lo stesso nome (ed è giusto che sia così anche se questo riguardi parole comuni in ambito commerciale e strettamente competitivo). Intimare, però, ad un’altra società – di un settore diverso come in questo caso tra il colosso televisivo ed una piccola software house che si occupa di videogiochi – il cambio del nome di un prodotto e fare battaglia a colpi di carta bollata diventa stucchevole.

Murray ha ricordato come Sky avesse vinto in passato una causa simile contro Microsoft che fu costretta a cambiare nome ad un proprio servizio: Skydrive venne ribattezzato in Onedrive,

BETHESDA VS MOJANG PER LA PAROLA SCROLLS

In ambito videoludico i casi non mancano. Anche tra colleghi sviluppatori. Ne ricordiamo due emblematici. Il primo, in ordine cronologico, riguarda il caso per Scrolls. Nel 2011, Mojang – fresca di successo planetario con Minecraft – si cimentò nello sviluppo di un gioco di carte da collezione intitolato semplicemente Scrolls.

Bethesda contestò il nome intimando a Markus Notch Persson (il fondatore della casa svedese nonché il papà di Minecraft ed autore del gioco) di cambiare il titolo perché la presenza della parola Scrolls (incantesimo in inglese e quindi parola di uso comune), avrebbe confuso il pubblico di The Elder Scrolls, la celebre serie ruolistica.

Ci pensate? Scambiare il neonato Scrolls con una nota saga che, per di più, appartiene ad un genere completamente diverso. Notch la prese sul ridere, propose anche di giocarsi tale diritto di mantenere la parola “Scrolls” a Quake.

Niente da fare: si andò avanti ma la questione si risolse in pochi mesi. Il primo round in tribunale lo vinse Mojang per buona pace di Bethesda che comunque, successivamente, trovò un accordo col team scandinavo. Purtroppo per Mojang, a distanza di pochi anni, il destino non fu clemente con il gioco di carte da collezione che dopo risultati di vendita non proprio esaltanti è stato chiuso. The Elder Scrolls, invece, gode di ottima salute con cinque capitoli amati e chiacchierati, una comunità di utenti molto attiva in ambito mod, un mmorpg in evoluzione, un gioco di carte da collezione in arrivo (The Elder Scrolls Legends) ed un sesto capitolo molto atteso non ancora annunciato.

KING.COM VS STOIC PER LA PAROLA SAGA

L’ultimo precedente eclatante in ordine di tempo, invece, risale tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014. Riguarda la diatriba tra Stoic che venne chiamata in causa, anzi, venne vessata, da King.com. Il motivo? L’utilizzo della parola Saga (!) in The Banner Saga, capolavoro videoludico, che – anche in questo caso, almeno secondo le idee del ricorrente – avrebbe potuto confondere l’enorme pubblico di Candy Crush Saga.

Ancora una volta parliamo di due videogiochi completamente differenti. The Banner Saga è una serie (è uscito recentemente il secondo episodio), dall’alto contenuto artistico, dall’ottima fattura tecnica e dalle enormi potenzialità narrative (trattasi di un mix tra adventure, gdr, strategico a turni e gestionale).

Candy Crush Saga è uno di quei giochi riusciti (un puzzle online con funzionalità social) che ha decretato un autentico boom esponenziale in ambito mondiale ma che, diciamocelo francamente, non ha aggiunto nulla sebbene la software house sia stata acquistata per quasi 6 miliardi di dollari (!) da Microsoft nel novembre dello scorso anno.

Le risposte dalla community di sviluppatori indipendenti non si fecero attendere: si organizzò anche una jam e tema (la Candy Jam) dove i partecipanti erano invitati a realizzare giochi che nel titolo avessero le parole “Saga” e “Candy”.

Quando King.com venne, a sua volta, accusata di plagio da un altro autore che aveva realizzato precedentemente un gioco simile, la cosa si complicò. King.com fece successivamente retromarcia pensando bene di non andare neppure in tribunale risolvendo consensualmente la diatriba con Stoic (che ha continuato liberamente a supportare il primo The Banner Saga ed a realizzare il secondo) e con Albert Ramson (autore di CandySwipe). Ricordiamo che sempre King.com aveva prima registrato la parola Candy per poi non procedere. In ogni caso parteggiammo apertamente per Stoic (ogni tanto bisogna fare delle battaglie, anche nel proprio piccolo) pronosticandone una vittoria.

Ma con un pizzico di buon senso in più tutto questo si sarebbe evitato. La speranza è che in futuro questi esempi possano essere presi da monito per evitare azioni legali infondate che, oltre ad essere costose, rischiano di minare la tranquillità.

Lungi da noi non voler capire le ragioni di azioni legali, ma con prodotti (anche nello stesso campo come nel caso di The Banner Saga e di Scrolls) palesemente diversi, queste cause ci sembrano stucchevoli e prive di fondamento.

APPLE VS AMAZON PER LA PAROLA APP

E’ giusto ricordare, infine, anche la battaglia tra Apple ed Amazon per la parola App. Con il colosso di Cupertino che fece causa al colosso dell’E-Commerce. La casa della Mela morsicata voleva l’esclusiva sulla parola App (celebre l’AppStore) contenuta però anche nell’Amazon AppStore. I giudici diedero torto ad Apple motivando la loro sentenza: la parola App è troppo generica. Il fatto avvenne nel 2011 ma nel 2013 ci fu la sentenza di appello che diede ancora torto ad Apple che aveva accusato Amazon di publicità sleale.