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Evil Inside, Recensione PS5

Come non costruire la paura

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Un viaggio di sola andata verso l’inferno in compagnia di Evil Inside, il titolo della nostra recensione per la nuova console PS5. Un thriller psicologico a tratti contraddittorio, quello realizzato da Jandusoft, la software house indie spagnola (anche se forse è meglio dire catalana, ndr). Gli sviluppatori di Barcellona si sono costruiti un bel nome in questi anni, firmando ben 27 progetti videoludici in circa 10 anni di attività. Questa volta decide di puntare su quello che potremmo definire una costante dei videogiochi degli ultimi anni. Stiamo parlando del tanto chiacchierato P.T., quella demo privata di Silent Hills confezionata in formato FPP. Il titolo della nostra recensione è liberamente ispirato al gioco mai nato di Konami.

Basta vedere qualche video su Youtube per capire di cosa stiamo parlando. La location degli eventi di Evil Inside ricorda molto quei fotogrammi. Vogliamo, però, ritornare su quel passaggio che parlava di un videogioco “contradditorio”. Jandusoft sviluppa un gameplay con due facce: una che guarda alla componente artistica e un’altra relativa alla fruizione del gioco. La prima è da applausi, la seconda, invece, da fischi. Lo sviluppatore indie si dimentica che su PS5 esiste una cosa chiamata feedback aptico. In realtà si dimentica che esistono le vibrazioni, in generale, e il controller resta immobile nel corso dell’esperienza di gioco.

evil inside recensione ps5

Ora, tralasciando l’assenza dei trigger adattivi (che può anche avere un senso, ndr), una dimenticanza del genere lascia intendere che non hai capito dove ti trovi. Uno scherzetto così ti fa bruciare metà dell’esperienza di gioco, che per un’avventura grafica in soggettiva è troppo da sacrificare. Se non avverti le emozioni in prima persona vuol dire che c’è qualcosa che non va.

E tutto questo è un vero peccato, anche perché la nuova PS5 di strumenti a disposizione ne ha tanti per costruire il tanto ricercato fattore immersione. Bene, adesso spazio a quello alla nostra recensione di Evil Inside, titolo, vi ricordiamo, provato sulla nuova console next-gen Sony ma uscito oggi anche su Steam, PS4, Xbox One, Xbox Series X|S e Switch.

ONDATE DI PAURA

 

La storia di Evil Inside affonda le sue radici in un caso di cronaca nera. Il protagonista del gioco, Mark, ha visto la sua famiglia sgretolarsi in pochi istanti. Sua madre, la povera Mary, è stata ritrovata morta in circostanze poco chiare, che hanno portato all’arresto del padre. Non potendo contare più su nessuno, si rivolge all’esoterismo, tentando un “contatto” con la defunta mamma. Qualcosa, però, va storto e la tavola ouija finisce in frantumi. Il vostro compito sarà quello di ritrovarne i pezzi, entrando in una spirale temporale (o mentale?!, ndr), che vi farà tornare e ritornare nella casa natale del povero Mark, attraversando corridoi ed esplorando stanze, in cerca di un indizio, di un segno della povera Mary.

Il gameplay di Evil Inside è strutturato su una base iterativa. Ad ogni round, inizia un nuovo ciclo con la location del gioco che appare sempre identica a quella del turno precedente. Come in un escape game, dovete trovare quel qualcosa che vi fa andare avanti. Può essere un oggetto, un’immagine, una pagina manoscritta, persino anche l’entrare in una stanza e affacciarsi verso la parte meno illuminata, può innescare un evento. Ad ogni iterazione un pezzo di storia viene svelato. Tutto gira intorno alla verità dietro la morte della madre di Mark, una costante “presenza” che ogni tanto fa la sua comparsa.

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Non si è invogliati nel punta e clicca ossessivo convulsivo, anche perché il protagonista del gioco ha un’andatura lenta e compassata (anche quando corre, ndr). Voluta o no, questa scelta è funzionale a quello che succede non nell’immediato. Quando la casa comincia “a parlare”, ogni passo pesa come un macigno. È questo, però, anche il peso per non aver aggiunto il supporto al feedback aptico. Per carità, gli spaventi arrivano, come anche i brividi lungo la schiena. Ma siamo lontani anni luce da quello che abbiamo visto in Resident Evil Village e, ancora prima, in Infliction: Extended Cut.

Graficamente il gioco è anche ben realizzato, con una gestione dell’illuminazione molto vicina alla realtà. Le proiezioni delle ombre da sole bastano per farsela addosso, con i loro movimenti che disegnano delle terrificanti opere di occlusione ambientale. I modelli poligonali del level design sono nella norma, in termini di cura dei dettagli. Sorprende, invece, la gestione dei riflessi, dinamica e che segue sempre la fonte di luce principale. D’altronde, per costruire la paura, gli ingredienti sono questi.

In verità ne manca uno, e lo abbiamo lasciato per ultimo apposta. Per goderne al massimo dei suoi benefici, però, occorre indossare le cuffie o anche dei semplici auricolari. Il comparto sonoro, in generale, è da 10 in pagella. Questo non riguarda solo gli effetti sonori ma anche il sottofondo musicale, preso in prestito dal mondo del cinema, giusto per renderne l’idea (ricordando la serie cinematografica Insidious, ndr). Quando si inizia a sentire quella melodia che, via via, diventa sempre più stonata e distorta, quello è il momento di non voltarsi indietro.

COME GIUDICARE UN FPP

Premettendo che non vogliamo elevarci a “professori” – che non siamo – questo non ci esime dal fare un’analisi critica su quello che di solito ci si dovrebbe aspettare da un FPP, o se preferite, First Person Perspective. Come abbiamo già evidenziato nella nostra recensione di In Rays of the Light, anche in Evil Inside la prospettiva conta. Noi assistiamo allo svolgersi degli eventi con gli occhi del protagonista, come se fossimo lui. Di conseguenza è facile finire con l’immedesimarsi nel malcapitato di turno.

Immedesimazione coincide con immersione. Fin qui, probabilmente, siamo tutti d’accordo. Sta, poi, agli sviluppatori capire come costruire il feeling con il gioco. “Carissimo gamer, come ti porto nel mio videogioco?” La nuova next-gen di casa Sony, mette a disposizione degli sviluppatori un parco caratteristiche interessanti. Tutto comincia con il controller DualSense, in grado di restituire delle sensazioni reali simulandole con il feedback aptico. I classici trigger R2 e L2, inoltre, sono muniti di resistenza, facendoli diventare adattivi rispetto alla situazione di gioco. A questo si aggiunge, inoltre, l’Audio 3d, anche se la condizione sine qua non prende il nome di Pulse 3d, le nuove cuffie ideate per PS5.

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Una software house che decide di lanciarsi sul mondo delle console next-gen, nella fattispecie su quella Sony, non può far finta che tutto questo non esista. È inaccettabile che nel 2021 un videogioco arrivi senza nemmeno una vibrazione. Figuriamoci, poi, se arriva su PS5 con una versione dedicata, e non retrocompatibile con PS4. Ecco, questo è quello che abbiamo pensato (anche se forse è meglio dire urlato, ndr) nei primi 5 minuti del gioco. Siamo arrivati ad Evil Inside carichi di aspettative, anche per via della vicinanza a P.T. Quando, però, un’aspettativa viene tradita, tutto il resto rischia di finire a rotoli.

Il nostro giudizio, per forza di cose, è stato condizionato da questo, anche se poi il gioco offre degli aspetti positivi. Per carità, questi sono stati segnalati ed era anche doveroso farlo. Se cercate, però, un thriller psicologico con un alto tasso di immersione, guardate altrove. Non è questo il caso. Almeno su PS5.

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COMMENTO FINALE

La nostra primissima impressione con Evil Inside è stata delle peggiori, vista la totale assenza di vibrazioni. Non parliamo del solo feedback aptico, ma di ogni forma di stimolo tattile. Questa scelta progettuale appare poco chiara e, a nostro avviso, priva di alcun senso logico, arrivando a pensare che si trattasse di un bug. In tutta onestà, ancora speriamo che si tratti solo di questo. Eppure la promozione del gioco è girata tutto intorno alle somiglianze con P.T., il teaser gioabile del gioco mai nato di Konami, Silent Hills., e di vicinanze ci sono.

Il lato artistico del gioco non si discute. Dal punto di vista grafico, ii dualismo luci/ombre regala una location terrificante e claustrofobica. Si ha sempre la costante sensazione di essere seguiti e non si ha mai il coraggio di voltarsi indietro. Per non parlare, poi, della componente sonora, che raccoglie il più terrificante repertorio di tonalità infernali. Menzione d’onore va dedicata per i sottofondi musicali.

Se avete due ore di tempo a disposizione, una stanza poco illuminata e dei buoni auricolari, i 10 round che vi separano dalla verità volano in un attimo. Chi vi scrive è un’amante del genere per cui, nonostante la completa assenza di stimoli tattili, ha deciso di arrivare alla fine del percorso tracciato da Evil Inside. Di fatto si rivolge a una nicchia di appassionati, esigenti e perfezionisti. Certe sbavature, però, non possono essere ammesse. La next-gen va sfruttata.

Pregi

Ondate di paura che ricordano molto lo spettro di P.T. , costruite su una location claustrofobica, intrisa di paura e follia. Il lato artistico è da lodare e sfrutta tutta la potenza della nuova next-gen di casa Sony...

Difetti

... anche se, poi, gli sviluppatori si dimenticano che esiste il DualSense, il feedback aptico e le vibrazioni in generale. Questa è una scelta che brucia metà dell'esperienza, e, per un FPP, godere solo a metà non ha nessun senso. Manca l'immersione, manca la prospettiva, e un asset del genere va a farsi benedire. Resta solo una prima persona che vaga senza particolari emozioni.

Voto

6,5

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