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Intervista ad Invader Studios su Daymare: 1998

Il team indie di Olevano Romano ci parla del suo celebre horror, del suo percorso ma anche dell’amicizia tra il bambino ed il gigante Capcom

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Non è facile partire con tanti sogni e realizzarli. Invader Studios, piccolo studio indipendente che risiede in un paesino della provincia Roma chiamato Olevano Romano, ci è riuscito. E ne ha fatta di strada. Perché dal sogno alla realtà, come tra il dire ed il fare, c’è stato tanto mare che è stato attraversato grazie ad un lavoro importante.

Dal 2016, anno in cui annunciò al mondo il suo Daymare: 1998 che si ispirava – dichiaratamente, volutamente e forse sfacciatamente, ma con il dovuto rispetto – a Resident Evil a quando, proprio per la qualità mostrata, venne invitato nientepopodimeno che da Capcom al suo quartier generale, la software house si era fatta apprezzare tanto.

Nel frattempo tanto olio di gomito per il piccolo team perché il 17 settembre 2019 pubblicò, finalmente, la versione Pc su Steam (e poi su GOG) il suo lavoro. Un sogno concretizzato. Una data sicuramente da ricordare. Ed un gioco accolto molto calorosamente da pubblico e stampa. Anche noi abbiamo apprezzato ampiamente quanto fatto da Invader Studios premiando questa fatica con un perentorio 8,5 dato dal nostro Donato Marchisiello.

 

Ma si sa, il tempo delle chiacchiere è minimo e c’è ancora meno tempo per festeggiare. Il team si è messo al lavoro sull’edizione console che è uscita nei giorni scorsi e che, nonostante le grandi premesse dovute all’ottima versione Pc, non è riuscita – al suo esordio – a confermare tutto. Il nostro Dino C. ha comunque premiato il titolo su PS4 con un più che valido 7,5 (alzi la mano chi di noi non avrebbe esultato prendendo questo voto a scuola, ndr). Ma, rapito dal gioco e dalla sua ambientazione che trasuda fascino per chi ama l’horror, ha voluto indagare. È nata, così, questa intervista con gli autori di Daymare: 1998. Una chiacchierata che ci ha permesso di ripercorrere anche una tappa di come è nata quella che viene definita l’amicizia tra il gigante (Capcom, ovviamente) ed il bambino (Invader Studios, naturalmente). Ecco, dunque, la nostra intervista, condotta da Dino C., ad Invader Studios. (e. u.)

Buona lettura.

Da fan-base a fan-made: cosa si prova a passare dall’altra parte del joypad?

Difficile senza dubbio, ma estremamente soddisfacente se riesci nel tuo intento. Anche se per raggiungere il tuo obiettivo devi prima passare una serie di ostacoli che ti prendono anche anni, come nel caso di una produzione ambiziosa come la nostra, la soddisfazione del risultato ripaga gli sforzi fatti.

Siamo tanto felici di esserci riusciti e che in tutto il mondo si stia giocando il nostro titolo, tanto quanto lo siamo del fatto che stia spaccando così a metà stampa e pubblico, perché significa che siamo riusciti nel nostro intento di offrire un prodotto adatto ai fan di un genere ben specifico e non mainstream.

Questo, ovviamente, non significa che non stiamo già lavorando per sistemare tutto quello che non è andato come avremmo voluto in Daymare: 1998 e regalare una nuova esperienza che sia ancor più soddisfacente per tutti i tipi di giocatori.

Avete iniziato nel vostro “scantinato” di Olevano Romano e, come succede in un sogno, siete volati ad Osaka, alla corte di Re Capcom. Com’è stato confrontarsi con gli inventori del survival horror?

Tanto inatteso quanto straordinario. Sapevamo bene che prima o poi si sarebbero mossi visto il successo che stavamo riscontrando con il nostro fan remake di RE2, ma mai ci saremmo aspettati un trattamento tanto amichevole e un invito nella loro sede. L’incontro poi è stato particolarmente interessante, visto che ci hanno dato pareri e feedback sulla versione preliminare di Daymare: 1998 che avevamo portato da loro, mentre ce ne hanno chiesti a noi per due titoli allora segretissimi e che ci fecero vedere in anteprima, ossia RE7 e il tanto a noi caro RE2 remake. Una storia unica e un’amicizia tra un gigante e un bambino, diciamo così, che va avanti nel tempo e di cui siamo fieri e onorati.

Daymare 1998 è denso di atmosfere e momenti. Come si costruisce la paura in un videogioco?

In diversi modi. Spesso con qualcosa di diretto, come un jump scare o uno scontro o una boss fight particolarmente ansiogena e densa di emozioni. Dall’altro con la tensione costante. Con un’illuminazione particolare, una colonna sonora d’effetto o un’ambientazione che conducono ad una sensazione di pericolo e tensione costanti, senza che accada nulla di particolare. Dopotutto, non è un segreto, spaventa molto più l’idea di qualcosa che sta per succedere che il momento in cui succede realmente. Noi le abbiamo adottate tutte.

Vi sentite legati alle filosofie dell’ammiraglio Shinji M. o volete crearne una vostra, tutta made in italy?

Ha dato vita al genere, trasformando quelli che erano dei limiti in dei punti di forza. Noi, nel nostro piccolo, abbiamo fatto lo stesso. Quindi sì, per quanto con le dovute proporzioni, ci ispiriamo senza dubbio alla sua filosofia, a quella che ci ha cresciuto negli ultimi 20 anni del resto.

Parlando di gameplay, è quasi impossibile non notare un’aderenza a delle dinamiche anacronistiche e non in linea con gli attuali trend in materia di gaming. Secondo voi la scelta è stata giusta o si è rivelata un passo falso?

È stata una scelta considerata e voluta. A molti è piaciuta, ad altri no. È chiaro che nulla può soddisfare tutti, ma noi siamo felici delle scelte che abbiamo fatto perché erano ben ponderate. Ciò non significa, ovviamente, che non potremo prendere nuove strade in futuro. C’è sempre da migliorarsi.

Daymare 1998 è concepito nell’ambito di una trilogia. È stato così fin dall’inizio, sin dal suo sviluppo, oppure avete cambiato idea dopo l’uscita su Pc?

Da subito. Nonostante non fossimo sicuri neanche di riuscire a finire questo primo capitolo, già nei primi step di pre-produzione abbiamo deciso che sarebbe stato un titolo aperto a prequel e sequel, anche se sapevamo che sarebbe stata dura arrivarci. Oggi, che abbiamo finalmente sugli scaffali Daymare: 1998, possiamo e vogliamo andare avanti estendendo la serie per come l’avevamo immaginata sin dall’inizio.

Anni ‘90 e ricordi della vostra vita disegnano numerosi dettagli nel videogioco. Che cosa rappresenta per voi Daymare 1998?

La nostra visione del survival horror moderno. La nostra adolescenza tra videogame e film del genere che più amiamo. La nostra creatività, spinta dalle emozioni e dalle capacità. Daymare: 1998 è molto più degli anni della nostra vita che abbiamo speso per realizzarlo, è forse un sunto della nostra intera vita. Ed il fatto che noi stessi e il paesino in cui lavoriamo siano parti integranti del gioco, ne è la riprova.

La critica videoludica ha visto non confermare le recensioni ampiamente positive ottenute un anno fa con la versione Pc. Anche noi, per dirla tutta, abbiamo valutato in modo leggermente diverso il titolo. Secondo voi la colpa è solo del porting?

Certo che sì. Il processo di porting su console è lungo e complesso, e per fortuna abbiamo potuto contare su un team di esperienza decennale come Slipgate Ironworks. Questo non significa che il prodotto potesse uscire già perfetto, vista la mole di lavoro e l’alta ambizione del titolo, ma già con le prime patch stiamo risolvendo la maggior parte dei problemi che, per alcuni, andavano ad inficiare l’esperienza di gioco su console rispetto a quella per Pc.

Invader Studios dovrà confrontarsi con l’arrivo di una next gen che sembra stravolgere il mondo dell’esperienza di gioco. Oltre a Daymare, cosa c’è nel vostro futuro?

Questo non vediamo l’ora di scoprilo. Daymare ci sarà di certo, anche se stiamo valutando anche diverse offerte interessanti di cui spero vi potremo parlare presto. Uno dei lati positivi del portare sul mercato un prodotto così è che, anche se imperfetto, dimostra le tue qualità e la tua ambizione, attirando molte attenzioni.

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