Se c’è una cosa che Tattoo Tycoon non fa, è vendere sogni. Il gestionale sviluppato da CrazyBunch (software house tedesca conosciuta per la realizzazione di alcuni capitoli di Leisure Suit Larry ndr) non si presenta con la vernice lucida dei titoli AAA, né con la pretesa di rivoluzionare il genere. Piuttosto, si insinua con discrezione nel catalogo dei simulatori economici, proponendo un’’idea curiosa: gestire un negozio di tatuaggi in una cittadina decadente, Tattuga Bay, dove l’inchiostro è memoria, ribellione e business.
Il risultato? Un’esperienza che alterna intuizioni interessanti a limiti strutturali evidenti, lasciando il giocatore in bilico tra coinvolgimento e frustrazione. Andiamo a scoprire Tattoo Tycoon in questa recensione della versione PS5, curata dalla nostra Kim Fuentes. Ricordiamo che il gioco, pubblicato da HandyGames, è disponibile anche su Pc, PS4, Xbox One, Xbox Series X/S e Switch. Buona lettura.
SOPRAVVIVERE A TATTUGA BAY
La narrativa di Tattoo Tycoon si muove su binari semplici ma funzionali. Il giocatore eredita l’ultimo negozio di tatuaggi ancora aperto in una città che un tempo era il fulcro della cultura underground. Tattuga Bay è ora un mosaico di personaggi eccentrici, tatuatori in crisi e clienti con storie da raccontare. L’obiettivo è riportare il negozio al successo, navigando tra rivalità locali e l’influenza del misterioso “Tycoon”, un uomo d’affari che incarna il lato oscuro del capitalismo creativo.
La scrittura non brilla per profondità ma riesce a tratteggiare un contesto urbano credibile, dove ogni cliente ha gusti, traumi e tabù. Parlare con loro non è solo un mezzo per guadagnare, ma anche un modo per scoprire micro-narrazioni che, pur non sempre memorabili, aggiungono colore all’esperienza. Tuttavia la trama non evolve in modo significativo: manca una vera progressione narrativa, e il “Tycoon” resta più un’ombra che un antagonista concreto. Il gioco preferisce suggerire piuttosto che raccontare, e questo approccio, se da un lato evita l’infodump, dall’altro lascia un senso di incompiutezza.
TRA AGHI E ALGORITMI

Tattoo Tycoon è, a tutti gli effetti, un gestionale. Il giocatore deve arredare il negozio, assumere personale, gestire le finanze e, soprattutto, tatuare. La parte più interessante è proprio la creazione dei tatuaggi, che richiede una mano ferma e attenzione ai gusti del cliente. Ogni sessione è una piccola sfida di precisione, dove sbagliare una linea può compromettere la soddisfazione (e la mancia) del cliente.
Il sistema di dialogo con i clienti è basato su scelte multiple: capire cosa amano e cosa detestano è fondamentale per proporre il design giusto. C’è un elemento di roleplay che funziona, anche se le conversazioni tendono a ripetersi dopo qualche ora. L’arredamento del negozio influisce sull’afflusso di clienti, ma le opzioni decorative sono limitate e poco ispirate.

La gestione del personale, inoltre, risulta alquanto superficiale: i tatuatori presentano delle statistiche, ma non c’è una vera progressione o interazione significativa. Il ciclo giorno-notte invece introduce una componente strategica quantomeno interessante. Decidere quando aprire, quanto lavorare e quando riposare diventa cruciale per ottimizzare le risorse.
Ciò nonostante il bilanciamento complessivo dell’esperienza appare altalenante. Alcuni giorni si accumulano clienti insoddisfatti senza apparente motivo, mentre altri scorrono senza eventi rilevanti. Il gioco manca di un sistema di feedback chiaro, e questo rende difficile capire se si sta migliorando o semplicemente sopravvivendo.
UN’ESTETICA CHE NON LASCIA IL SEGNO

Visivamente Tattoo Tycoon adotta uno stile 2D isometrico con palette cromatiche che oscillano tra il grunge e il pastello. L’intento è quello di valorizzare l’atmosfera decadente di Tattuga Bay, ma il risultato è disomogeneo. Gli ambienti interni del negozio sono curati, con dettagli che riflettono il tipo di arredamento scelto, ma il resto della città appare statico e poco vivo. I personaggi sono caricaturali, con tratti volutamente esagerati che ricordano le illustrazioni da rivista punk. Questo stile funziona per alcuni NPC, ma diventa ripetitivo nel lungo periodo.
I tatuaggi invece rappresentano il vero punto debole visivo: le opzioni di design sono poche, e la resa grafica sulla pelle dei clienti è deludente. Non c’è la sensazione di aver creato qualcosa di unico, e questo mina uno degli aspetti centrali del gioco. Le animazioni sono basilari: il processo di tatuaggio è rappresentato con movimenti minimi, e anche le interazioni tra personaggi mancano di dinamismo. Non ci sono cutscenes né momenti visivi memorabili. In un gioco che parla di arte e personalità, l’estetica sarebbe dovuta essere più audace.
UN SOTTOFONDO CHE NON DISTURBA

Sul piano audio, Tattoo Tycoon sceglie la via della discrezione. La colonna sonora è composta da tracce ambientali che mescolano synth e chitarre leggere, con l’intento di creare un’atmosfera rilassata. Funziona nei primi minuti, ma diventa presto monotona. Non ci sono variazioni significative tra i momenti di gioco, e l’assenza di brani tematici per personaggi ed eventi rende l’esperienza sonora piatta.
Gli effetti sonori sono funzionali ma anonimi: il rumore dell’ago, il tintinnio della cassa, il brusio dei clienti. Tutto è al suo posto, ma nulla sorprende. Non ci sono voci, né doppiaggio, e questo limita l’impatto emotivo delle interazioni. In un titolo che punta sulla personalizzazione e sull’empatia con i clienti, il silenzio è una scelta che pesa.

POTREBBE DARE SODDISFAZIONI
Tattoo Tycoon è un gioco che parte da un’idea originale e la sviluppa con competenza, ma senza guizzi. Il concept di gestire un negozio di tatuaggi in una città decadente ha potenziale, e alcune meccaniche (come il dialogo con i clienti e la gestione del tempo) mostrano spunti interessanti. Tuttavia la mancanza di profondità narrativa, la ripetitività del gameplay e un comparto artistico poco ispirato ne limitano l’impatto. Quella di CrazyBunch è un’esperienza che può intrattenere per qualche ora, apprezzabile principalmente da chi ama i gestionali con un tocco di eccentricità, ma difficilmente riesce a lasciare il segno. Come un tatuaggio fatto di fretta: visibile, ma non memorabile.