Editoriale

Buon compleanno The Secret of Monkey Island

Quanto vorrei tornare su Melee Island e guidare lo scanzonato Guybrush Threepwood in nuove avventure per i Caraibi

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Oggi, come molti saprete, è il compleanno di The Secret of Monkey Island. Il 15 ottobre del 1990 usciva il titolo che avrebbe ridefinito lo standard delle avventure grafiche. Un’occasione speciale per ricordare un gioco speciale. Avrei voluto scrivere qualche cosa di più professionale, come un approfondimento o uno speciale su un gioco che meriterebbe sempre di essere menzionato almeno una volta al giorno nel fiume di notizie e contenuti che tutti (noi de IlVideogioco.com inclusi) pubblichiamo.

Ho preferito fare un articolo di pancia, un accozzaglia di ricordi perché della grandezza di The Secret of Monkey Island sappiamo molto ed è già stato detto di tutto e di più a meno che non si riesca effettivamente a parlare con Ron Gilbert che ha creato i primi due capitoli di quella che è una serie che merita sicuramente ancora ora di essere rappresentata ma che ha bisogno, a mio avviso di nuova linfa visto che dopo il terzo capitolo, il tutto è andato a decadere.

Peccato che non si capisca da chi debba prenderla questa nuova linfa (leggasi nuovi episodi). O meglio, si saprebbe ma è difficile che si muova un dito. Tantomeno una foglia. Non facciamo polemiche, però, ed andiamo avanti ricordando il passato perché 30 anni per un videogioco sono tanti. Lo so cominciano ad essere (in una scala del tutto personale e per niente rigida) per le persone anche se non si finisce mai di essere ragazzi / ragazze, figuriamoci – appunto – per un videogioco.

Ma cosa ha permesso a The Secret of Monkey Island di diventare grande? Una commistione di tanti elementi tecnici e non solo. Perché la scrittura scanzonata che disegna una trama, unita alla risoluzione poco convenzionale di alcuni puzzle, ha reso queto gioco magico. Probabilmente è uno di quegli esempi in cui l’umanità ed il lato umano ha dato lustro ad una realizzazione tecnica di buon livello. Questo, probabilmente, è uno dei segreti che lo rendono una pietra miliare. Ma c’è altro.

Elaine e Guybrush

Il protagonista Guybrush Threepwood è da considerarsi un imbranato di grande successo ed anche fortunato con le donne visto che – non si capisce come – riesce a conquistare il cuore di Elaine Marley, governatore di Melée Island, location dove si svolge la prima metà del gioco e che anch’essa ha qualche cosa di magico. Torno su Guybrush e poi torno a parlare di Melée.

Guybush, dicevo, un giovanotto biondo, faccia da schiaffi anche e soprattutto in versione pixellata ancor più che nella remastered di 10 anni fa, che vuole diventare un temibile pirata. A lui non basta pirata ma vuole essere temuto, probabilmente perché la prima reazione nel leggere ciò che dice è quella di una fragorosa risata.

Insomma, è l’eroe suo malgrado, l’antieroe per eccellenza. Non eccelle in nulla anche se sa trattenere il respiro per più di 10 minuti. Qualità che lo aiuterà in un frangente all’inizio dell’avventura. Inoltre ha una dote che molti supereroi si guadagno: la fortuna. Ragazzi, lo vorrei qui a dettarmi i numeri del super enalotto. Può sembrare uno sfigato ma poi se ne esce alla grande. E poi è un buon incassatore di insulti. Se li prende dal vecchietto che ha il negozio su Melée Island che lo infama (probabilmente giustamente) in tutti i modi. Viene prima schifato da tutti i pirati dell’isola salvo poi batterli con duelli all’ultimo insulto (genialata totale). Forma un equipaggio che si ammutina e guida la nave da solo a destinazione ed altro.

Guybrush, l’antieroe per eccellenza, riesce ad incassare anche tanta, tantissima simpatia da parte dei videogiocatori di tutto il mondo.

Piace anche per la spacconaggine che ha contro i pirati importanti. Una delle frasi di presentazione, nella sua illogicità è geniale (Vi ammazzerò tutti). Poi perché avrebbe dovuto farlo resta un mistero.

Non ha paura di niente e, ripeto, fa colpo su Elaine, che come diciamo a Palermo non è “duci i mussu”, ossia non le manda a dire ed è piuttosto selettiva. Ed ha la meglio sul pirata fantasma LeChuck, lui si che è davvero temibile e pericoloso. Nondimeno farà di tutto al nostro protagonista cercando di squartarlo, affogarlo, importunarlo e, addirittura, ucciderlo, u c o… ucciderlo. Ed ha tutti i mezzi ed i motivi per farlo: è il rivale d’amore per il cuore di Elaine.

I dialoghi ed i puzzle sono qualcosa di eccezionale ma oggi non mi va tanto di parlarvi di loro. Preferisco, perché ne ho bisogno oggi, ricordare le bellezze di Melée Island, una perla dei Caraibi, anzi, nel profondo dei Caraibi, senza tempo immersa nella luce notturna di una luna che accompagna l’inizio della nostra avventura e della saga.

Uno sperduto isolotto con un villaggio formato da case coloniale, più in là la villa splendida del governatore, poi il centro abitato con una bottega, una chiesa, una prigione, ed una casa dove incontreremo una strega voodoo.

Il villaggio che ci riporta al XVII secolo ricostruisce un’atmosfera che per chi vi scrive è fiabesca. Un viaggio nel passato che iniziai nel natale del 1991. Comprai The Secret of Monkey Island su Amiga a scatola chiusa vedendo proprio gli screenshots blu notte di Melée. Una notte blu con il suo circo ed i fratelli Fettuccini (mitiche le risposte al contrario dopo l’impatto col palo di sostegno), il suo boschetto che nascondeva il sito del tesoro dell’isola nonché l’abitazione del maestro di spada. Il negozio di navi usate di Stan. Un uomo capace di vendere sua madre al miglior offerente senza alcuno scrupolo. Ed altre location che inutile ricordare qui anche se la casa di quello squattrinato dell’allenatore di spada che insegna i primi rudimenti della lama e degli insulti ha il suo perché.

Ebbi ragione. E per inciso, ho ancora i due originali (anche il sequel) per Amiga a casa con tanto di copertine cartonate stratosferiche. Sentirne ancora l’odore oggi è qualcosa di eccezionale. Il gioco era un’avventura punta e clicca ed a 14 anni non è che conoscessi tutti i generi. Anzi. Imparai a ragionare in modo assurdo proprio per superare gli enigmi. Ma ci si perdeva anche nelle musiche. Il reggae di Michael Land con una intro tanto allegra quanto orecchiabile accompagnava i ragionamenti. E ben presto è diventata iconica ed apprezzata in tutto il mondo. Ogni musica comunque la porto nel cuore. L’inizio delle tre prove, l’arrivo a Monkey Island, agli inferi e così via. Sono pezzi che rimangono scolpiti. Così come alcuni enigmi, quello per diventare invisibile e poter eludere i fantasmi è splendido.

Mi ci vollero settimane per riuscire a finire il gioco su Amiga. Poi beh, conoscendo a memoria la media si abbassò a circa 4 ore e mezza. Dipende dai duelli con gli insulti hehehehe.

Ma è sempre bello giocare a Monkey Island. Ed ho bisogno di correre per Melée Island ed andare al Bar Scumm. Si. Ne ho proprio bisogno così come quello di dire che ci vorrebbe un vero Monkey Island 4, magari targato Ron Gilbert che nel 2017 riuscì in un’impresa mica male: fare innamorare gli appassionati a Thimbleweed Park, sua ultima avventura punta e clicca che ha avuto il merito di avere quelle atmosfere. La mano è la sua. E lui non ha perduto il tocco.

Chissà come sarebbe un Monkey Island 4 firmato da lui. Sicuramente avrà qualche idea. Ma sognare è bello fino ad un certo punto. I diritti sono una cosa senza sentimenti che vanno oltre. Se si dovesse risolvere la questione allora potremmo tornare a sperare. Detto questo non mi resta che augurare ancora una volta cento di questi giorni a The Secret of Monkey Island che, tra l’altro, è stato inserito recentissimamente, nel programma Video Game Source Project, una iniziativa volta a salvare e studiare il codice sorgente e i relativi materiali di sviluppo prima che questi vadano persi. Ancor un ulteriore motivo per augurarsi cento di questi giorni.

Hai un cugino che si chiama Sven? – No, ma una volta avevo un barbiere chiamato Dominique…
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