Editoriale

E3 2019, quando l’encefalogramma è piatto…

Donato Marchisiello ci racconta le sue sensazioni su una kermesse che quest’anno ci ha dato pochissime emozioni

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Un altro E3 si è concluso, fra boutade, sorprese “mozzafiato” [semi-cit.] e giochi nuovi poi non così tanto nuovi che hanno fatto parlare di sé.

Perché, tolto Cyberpunk 2077 (probabilmente, l’unico gioco davvero “potente” in arrivo) e Death Stranding (fino ad ora, solo una grande cassa di risonanza mediatica e nulla più), l’E3 2019 ha portato sì qualche novità, ma nulla di davvero sorprendente. O memorabile.

Ed è paradossale che, ogni anno da parecchio tempo, le grandi aziende siano sempre più in un affanno concettuale nel presentare prodotti di qualità o, quantomeno, sufficientemente originali da attrarre l’opinione e rendere sensata la manifestazione.

Ma, ahinoi, nemmeno quest’anno l’obiettivo di “sorprendere” è riuscito a nessuno. Un po’ di carne al fuoco è stata messa, qualche titolo interessante mostrato (soprattutto quelli nel segmento Pc, Microsoft e Nintendo). Ma niente e nessuno è stato in grado di catalizzare realmente l’attenzione generale proponendo qualcosa di, non diciamo nuovo, ma sufficientemente personale (tranne i due sopracitati ludi, di cui uno è sicuramente di spessore). O quanto meno incisivo. Niente.

Ed è a tratti “sintomatico” vedere lo scarso interesse mostrato da una buona fetta dell’audience nei confronti dello show. Disinteresse confermato anche da assenza di un certo peso (Sony, in primis), sintomo di un “vuoto concettuale”.

Ma l’E3 sta lentamente morendo per tanti motivi: un po’ per il mare di leak (si sapeva praticamente già tutto prima del primo giorno). Un po’ perché, ormai, le grandi vetrine sono logisticamente inutili per le grandi aziende, visto che chiunque ha un apparecchio che gli consente di accedere all’intero scibile umano in un secondo e che, le sopracitate, possono sfruttare con una spesa irrisoria per imbastire propri “show” online.

Un po’ perché, probabilmente, l’expo ludico più grande della terra è l’incolpevole effige dello stato in cui versa l’industria, inaridita, senza slancio e boccheggiante. Un’industria che deve ricorrere sempre più a remake laboriosi ed infiniti di giochi di un certo spessore, ma ormai consumati e stra-consumati (qualcuno ha detto Final Fantasy VII?). Ed è forse anche per questo che, negli ultimi anni, l’expo è diventato qualcosa di più simile ad un “gamicon” che ad una fiera dedicata agli esperti del settore.

Ma l’evidente “agonia” dell’E3 è un qualcosa di positivo? In realtà, no: un no sentito soprattutto per la scena indipendente più vicina al grande mercato, che potrebbe perdere una ghiotta occasione di visibilità. E la perdita di visibilità, per certi versi, significa perdita di indipendenza. E persa quest’ultima, si hanno due alternative: chiudere baracca e burattini o andare in giro a “questuare” tra i grandi publisher, sempre vogliosi di “disossare” una qualsiasi I.P. indipendente per renderla “mercatizzabile”, in modo da dare in pasto alle frotte ferventi di ragazzini l’ennesimo COD o Fortnite senz’anima. Perdita di visibilità che, di base, già avviene per il notevole costo degli spazi di “vetrina” disponibili e che rende di base inaccessibile per gli sviluppatori piccoli e medi l’intero show.

L’unico modo che ha l’E3 per sopravvivere, è proprio questo: rendere più variegata la vetrina e offrire uno spazio diversificato anche ad una serie di “piccole voci” del mercato, le quali sono da almeno una decade ciò che fa progredire per “concetti” l’industria.

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