Thimbleweed Park, Recensione Nintendo Switch

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E’ arrivato il 30 marzo scorso su Pc, Linux e Xbox One mentre su PS4 solo 22 agosto di quest’anno, stiamo parlando di Thimbleweed Park, avventura punta-e-clicca in terza persona, griffata Terrible Toybox e firmata Ron Gilbert e Gary Winnick.
Noi ne abbiamo provato a fondo prima la versione “regina”, quella per Pc, poi quella per console da salotto nella sua iterazione PS4. Infine abbiamo potuto testare quella più curiosa: la versione per Nintendo Switch che, come valore aggiunto, ha il pregio di poter essere portata a spasso, nei viaggi e fa diventare meno snervanti le lunghe attese.

AGENTI MULDER E SCULLY, FBI

Lungi da noi ripetere per filo e per segno quello che già – per due volte – è stato ribadito dall’encomiabile lavoro del nostro direttore e collega. Qui ci basta sapere che un paio di agenti del Federal Bureau Investigation (FBI), tali Antonio Reyes e Angela Ray, si ritrovano ad investigare su un misterioso omicidio nella contea di Thimbleweed, famosissima per la sua fabbrica di cuscini e per il suo visionario proprietario, vulcanico inventore in aggiunta.

Le somiglianze con i famosissimi agenti Mulder e Scully, della serie culto X-Files degli anni ‘90 si fermano solo all’estetica, essendo – il lavoro di designer e scrittori guidati da Ron Gilbert e Gary Winnick – semplicemente fantastico nel creare e dar vita, carattere e spessore a tutti i personaggi che si incontrano. Ray e Reyes sono solo i primi personaggi ad essere controllati dal giocatore, che ne alternerà l’utilizzo volontariamente (tramite pressione di un tasto in corrispondenza del loro ritratto in sovrimpressione) oppure involontariamente, a causa dell’evolversi della trama. Sempre a causa di esigenze di copione si prendono le parti del pagliaccio maledetto e sboccato di nome Ransome e di Dolores: nipote dell’inventore di cui abbiamo accennato più su e figlia di Franklin Edmund, altro personaggio giocabile.

L’ARTE DEL PIXEL

Quando si parla di Pixel Art, si fa riferimento ad un’arte visiva, di derivazione digitale, in cui l’artista si esprime e produce lavori a livello di pixel, che è la più piccola parte che costituisce l’intera immagine. In un tempo – quello che viene prima di Tomb Raider per intenderci – in cui non si parlava di poligoni ma di sprite, il lavoro dell’artista dei videogiochi si fondava sulla maestria di dare un senso ai pixel che componevano l’immagine.

Il lavoro svolto su Thimbleweed Park è, semplicemente, poco discutibile. Pochi titoli possono vantare, al suo pari, uno stile così azzeccato e – a tratti – sofisticato. I ruggenti anni ‘80 e i primi anni ‘90 delle avventure grafiche riprendono vita, a distanza di decenni, anche sul piccolo schermo di Nintendo Switch (oltre che sul televisore in salotto o in camera, ovvio). Alcuni paletti di standard qualitativi sulla pixel art, per quel che ci è dato sapere, il lavoro di Terrible Toybox li pianta per bene e sarà dura, per i giochi futuri, eguagliare questo e gli altri – pochi e bellissimi – esponenti di quella che si sta affermando come una vera e propria arte, seppur digitale.

RITORNO AL FUTURO

Vogliamo essere estremamente onesti: l’unica cosa che ci ha fatto arricciare il naso, di Thimbleweed Park, è il fatto di dover gestire il puntatore con la levetta sinistra del corrispettivo Joy-Con, dopo almeno venticinque anni passati a farlo con il mouse.
E’ stato un piccolo trauma ma, superato questo, il gioco si è lasciato giocare con estremo piacere e non ci ha mai messo in difficoltà. L’interfaccia SCUMM, famosissimo motore grafico e marchio di fabbrica di un decennio di avventure LucasArts facilita la fruizione e l’esperienza: tutto quello che i personaggi sono in grado di fare è espresso dai comandi in sovrimpressione, sono nove in tutto: apri, chiudi, premi, tira, esamina, raccogli, usa, dai e parla. Queste azioni possono essere compiute dai personaggi con elementi dello scenario o altri personaggi, oppure possono essere fatti per combinare degli oggetti in loro possesso, ottenerne un terzo e soddisfare la richiesta di un personaggio o di un enigma situazionale.

Thimbleweed Park, infatti, come facevano le avventure grafiche oltre trent’anni fa, alterna fasi di esame della scena e “interviste” ai personaggi secondari, con veri e propri puzzle, o enigmi, la cui risoluzione è affidata alla logica, al buon senso oppure all’intuito del giocatore. Ron Gilber, Gary Winnick (ma anche Tim Schafer e Dave Grossman, che lavoravano insieme a loro in LucasArts) sono passati alla storia per le trovate geniali, esilaranti, lontane dal buonsenso – e per questo divertentissime – per venire a capo di un enigma. L’espressione “perché non ci ho pensato prima?” fa spesso capolino nella mente di chi gioca e questo – per chi vi scrive – è un valore aggiunto alle produzioni di questi signori, che non puniscono mai, magari prendono in giro in senso buono, ma alla fine non diventano mai frustranti. Thimbleweed Park è la summa videoludica del modo di intrattenere di Ron Gilbert e soci.

IL VALORE AGGIUNTO

Non ci stancheremo mai di lodare l’estremo valore aggiunto della console ibrida di Nintendo: portare il gioco ed i suoi progressi insieme a te, ovunque tu vada. Siamo certi che, alcuni giochi, siano semplicemente inadatti sul piccolo schermo, oppure perdano parecchio del loro fascino. Thimbleweed Park, per merito di una presentazione grafica ben lontana dal definirsi “poligonale”, non dovendo fare i conti con cali prestazionali o riduzioni di risoluzione, è semplicemente splendido da vedere e da giocare sia sul televisore che sullo schermo piccolo. Unico neo della versione portatile resta il fatto che i pixel diventino più piccoli e, sebbene non ci sia la caccia al pixel “nascosto” per trovare l’oggetto che serve per proseguire, bisogna comunque evidenziare il fisiologico rimpicciolimento del tutto. Tuttavia abbiamo trovato i sottotitoli (tradotti magistralmente da Fabio Bortolotti) ben leggibili, della grandezza giusta.

COMMENTO FINALE

Thimbleweed Park è la prima fatica di Terrible Toybox, studio di sviluppo indipendente guidato da quel Ron Gilbert a cui si deve la firma di alcuni dei più bei giochi di avventura punta-e-clicca di sempre. Il gioco è stato finanziato “dal basso”, tramite campagna Kickstarter e ha ottenuto un notevole successo preventivo. A questo è seguito il lavoro – serissimo – di Gilber e soci, che hanno confezionato un’avventura che sarà difficile da ignorare e che impone nuovi standard qualitativi.

Non a tutti può andare a genio la pixel art: troppo pixellosa, troppo retro, ben lontana dagli standard poligonali a cui i giovanissimi e i più esigenti sono più votati e che cercano in ogni nuova produzione. Tuttavia è questa l’arte digitale che ha reso intramontabili e famosissimi i suoi Monkey Island e Maniac Mansion, e non si può negare che a livello di scrittura di trama, dialoghi, personaggi, gag ed enigmi, questo Thimbleweed Park non sia secondo a qualcuno.

Nella sua versione Switch, il lavoro di Terrible Toybox non perde un pixel di divertimento e maestosità rispetto alle controparti Pc e PS4 (recensite su queste pagine). Il valore aggiunto è quello di poterlo giocare anche in portabilità, senza per questo perdere qualità o sabotare l’esperienza di gioco. Il sistema di controllo deputato a levette e pulsanti stona con la natura “punta-e-clicca”, letterale, del gioco ma funziona comunque perfettamente e permette anche agli appassionati con ibrida Nintendo di giocare uno dei più bei titoli degli ultimi anni.

 

Pregi

Artisticamente eccelso. Traduzione italiana eccezionale, doppiaggio degno di un film, musiche e suoni di buon livello. Il sistema “SCUMM” dell’interfaccia è intramontabile. Divertente, esilarante ma anche elegante e intrigante. Non perde alcun dettaglio fra modalità salotto e modalità tavolo/portatile e i testi sono sempre perfettamente leggibili. Controlli funzionali...

Difetti

...ma che trauma non poter “puntare e cliccare” con il mouse! Richiede mente sveglia, logica e capacità deduttive. Astenersi adoratori dei ritmi incalzanti e dei giochi frenetici.

Voto

9+