The Witcher 3: Wild Hunt è stato un successo senza precedenti per la società sviluppatrice di videogiochi polacca CD Projekt RED, leader nella produzione e distribuzione di software dell’Europa dell’est: oltre 6 milioni di copie del videogioco vendute in tutto il mondo.
Per un’azienda che incominciò poco più di vent’anni fa “craccando” i giochi occidentali per poi rivenderli ai propri clienti in Polonia si tratta davvero di un trionfo, non solo a livello commerciale/economico ma anche per l’intera industry polacca.
Eppure esistono ancora oggi molti videogiocatori che ignorano le vere origini ﹣ letterarie e videoludiche ﹣ di questa proprietà intellettuale divenuta crossmediale nel corso degli anni. Lo scopo di questo articolo sarà pertanto quello di fare una panoramica analizzando ogni sfaccettatura della poliedrica figura dello strigo nelle sue molteplici accezioni e come esse si intrecciano.
Soffermatevi sulla foto di quest’anziano signore ormai prossimo alla settantina con capelli e baffi bianchi: sapevate che tuto è nato dalla sua penna? Senza la sua creatività e (e notevole capacità di marketing maturata dalle precedenti esperienze professionali) probabilmente oggi non giocheremmo i titoli videoludici “ispirati” dai suoi romanzi. Già perché nel 1986 Andrzej Sapkowski scrisse in Polonia una storia breve intitolata “Wiedźmin” (letteralmente “Lo strigo” più noto con l’internazionale “The Witcher”) per partecipare a un concorso indetto dalla rivista di racconti fantasy e di fantascienza Fantastyka.
Sapkowski vinse il terzo premio, la storia fu pubblicata lo stesso anno sulle pagine della testata e riscosse un enorme successo da parte dei lettori e dei critici. Seguirono altri tre racconti brevi che nel 1990 furono raccolti insieme alla storia originale in un libro dall’omonimo titolo “Wiedźmin”. Senza tirare troppo per le lunghe il ciclo di storie basate sul mondo dello strigo arriva (al momento di scrivere questo articolo) a comprendere ben 2 antologie di racconti brevi e sei romanzi mentre lo scrittore polacco è annoverato tra i migliori autori fantasy in Polonia dagli anni novanta a oggi.
Eppure tale fama oltrepassava solo di poco i confini del paese di origine dell’autore e i primi tentativi di trasporre le avventure dello strigo su altri media, ossia un film dal titolo omonimo uscito nel 2001 e una serie televisiva (anch’essa intitolata Wiedźmin) trasmessa dalla tv polacca nel 2002, furono stroncate dalla critica e dal pubblico.
Il personaggio di Sapkowski, Geralt di Rivia soprannominato “Il Lupo bianco” o “Il carnefice di Blaviken”, è però ben caratterizzato (sebbene sia possibile riscontrare alcune analogie con altri protagonisti di romanzi fantasy, si pensi ad esempio ad Elric di Melniboné di Michael Moorcock) oltre a possedere tutta una serie di caratteristiche che ben si prestano ad una trasposizione ludico/ruolistica: tratti fisici “da duro” (carnagione pallida, cicatrici che segnano gran parte del colpo, capelli bianchi e occhi simili a quelli appartenenti alle specie feline), va in giro sempre con due spade (una d’argento, per i mostri, e l’altra d’acciaio, per gli uomini o altre creature umanoidi) con le quali combatte in modo spettacolare e al contempo brutale, sa utilizzare una forma basilare di magia (i segni), assume intrugli tossici per potenziare momentaneamente le capacità fisiche sovrumane e i sensi acuti, si nasconde dietro un’apparente maschera di neutralità seguendo un fantomatico “codice” appartenente alla sua stirpe di cacciatori di mostri prezzolati, è sterile ed esercita una particolare attrazione verso l’altro sesso (maghe, soprattutto) mentre viene considerato un reietto (o peggio un mostruoso e pericoloso mutante alla stregua delle creature che uccide) da tutta la restante popolazione dei regni del Nord. Non stupisce quindi l’abbondanza di materiale per trarne fuori un videogioco coi controfiocchi.
Il primo prototipo del videogioco The Witcher risale al 2002 ed utilizzava l’IC engine di Calaris Studios (lo stesso utilizzato nei due FPS bellici Mortyr 2093-1944 e Wolfschanze).
Si tratta di una demo piuttosto incompleta, con una prospettiva in terza persona dall’alto che ricorda il vecchio Baldur’s Gate: Dark Alliance. Ciò che più risaltava era però l’idea di non utilizzare Geralt (che sarebbe dovuto comparire nelle veci di png) come personaggio principale controllato dal giocatore optanto per uno strigo generico personalizzabile.
A causa della mancanza di una filosofia creativa condivisa tra tutti i membri del team di sviluppo di CD Projekt RED ﹣ costituito da meno di una decina di elementi a quel tempo ﹣dopo circa un anno il progetto fu accantonato.
Si decise così di ripartire da capo con la consapevolezza che le uniche risorse a disposizione degli sviluppatori erano la storia dell’ipotetico gioco e una manciata di bozzetti illustrativi preparatori. Nient’altro: decisamente un progetto a rischio considerato inoltre che l’idea era di rilasciare un gioco di qualità “AAA” entro il 2004 (e in seguito spostata al 2005).
Una delle decisioni più importanti riguardava il motore grafico così grazie ai buoni rapporti con Bioware (per i quali il team aveva realizzato su commissione la versione polacca di Neverwinter Nights) si optò per l’impiego di una versione modificata dell’Aurora engine (noto per essere stato utilizzato nella creazione di Star Wars: Knights of the Old Republic).
Uno dei programmatori inoltre sviluppo un tool per il texture painting dei modelli anziché la classica mappatura codificata molto in voga a quei tempi. Dopo molti mesi di lavoro e tantissimo crunch time il nuovo prototipo fu mostrato a porte chiuse in uno stand di Bioware durante l’E3 2004. Nonostante gran parte dei contenuti della demo giocabile sarà in seguito impiegata nella versione finale del gioco.
La nuova incarnazione, più vicina ad un GdR che a un gioco d’azione, ci metteva di nuovo nei panni di uno strigo personalizzabile dal giocatore e il sistema di dialoghi era ﹣ ovviamente ﹣ simile a quello di KOTOR mentre il sistema di combattimento utilizzava una serie di mosse offensive inseribili in un’apposita barra inferiore per effetturare attacchi concatenabili in successione col giusto tempismo (che ricorda un po’ il GdR per Pc Summoner).
Nell’ottobre 2007 CD Projekt RED rilascia finalmente The Witcher su computer. Il giocatore è ﹣ finalmente ﹣ in grado di impersonare Geralt e la storia del gioco incomincia dopo le vicende raccontate nel quinto romanzo (La signora del lago, l’edizione italiana è in uscita proprio in questi giorni). Emblematica è la sequenza cinematica introduttiva che ricalca gli avvenimenti della storia originale di Sapkowski.
Senza voler fare troppi spoiler il gioco incomincia con Geralt che, ormai creduto morto, riappare in fin di vita nei pressi della fortezza di Kaer Morhen venendo soccorso dai suoi amici/colleghi strighi. Lo stratagemma nel presentare un protagonista affetto da amensia ﹣ sebbene già visto e rivisto in chissà quanti altri videogiochi ﹣ dimostra da un lato poco coraggio da parte degli sviluppatori nel voler perseguire un’assoluta aderenza con la controparte letteraria (così come per l’intento di voler raccontare vicende a posteriori) ma si rivela ben presto una scelta vincente sia per chi già conosce Geralt dai libri che per chi si ritrova catapultato nel suo universo fantasy per la prima volta. Inoltre chi ha letto i romanzi sa che (eccezion fatta per le due antologie di storie brevi) Geralt è un protagonista secondario che si muove sullo sfondo di vicende relative a un altro personaggio la cui importanza sarà solo svelata col terzo e ultimo capitolo della saga videoludica.
The Witcher è un gioco di ruolo molto classico: dialoghi a scelta multipla, crescita e sviluppo del personaggio mediante livelli di esperienza e talenti da acquisire, sistema di combattimento profondo mediante punta-e-clicca del mouse in bilico tra l’action e la strategico (con tanto di “pausa attiva” dei giochi Bioware), crafting di pozioni/unguenti/bombe, lancio di incantesimi, un minigioco d’azzardo (il poker dei nani coi dadi!) arrivando a includere persino incontri romantici ﹣ con annesse carte collezionabili perché si tratta pur sempre di un videogioco ﹣ che sfociano in scene di sesso.
Un prodotto innovativo per quegli anni che, seppur a nostro avviso oggi invecchiato male dal punto di vista grafico, riusciva a compiere il miracolo di trasferire in un gioco dall’impronta fortemente narrativa alcune delle caratteristiche migliori dei giochi “sandbox” (si pensi al ciclo temporale giorno/notte oppure alle routine comportamentali dei personaggi secondari) come avviene nella serie The Elder Scrolls.
Alla Game Developers Conference 2008, CD Projekt RED annunciò una versione riveduta e corretta del gioco che fu rilasciata nel settembre dello stesso anno. The Witcher Enhanced Edition apportava tantissimi migliorie tra le quali oltre 200 nuove animazioni, quest (anche sotto forma di due DLC gratuiti inclusi), modelli poligonali aggiuntivi per png e mostri, dialoghi riscritti nelle varie localizzazioni, doppiaggio in molte lingue (incluso l’italiano che lo rende il primo e unico capitolo della trilogia con questa caratteristica) e tantissimi bug corretti al fine di aumentarne le prestazioni su ogni hardware di allora. Era persino stata annunciata una versione per console (Xbox 360 e PlayStation 3) che avrebbe dovuto impiegare un inedito motore grafico oltre a modificare in maniera sostanziale il sistema di combattimento. Purtroppo The Witcher: Rise of the White Wolf (il titolo concepito per quest’edizione) non arrivo nell’autunno 2009 come promesso e lo sviluppo fu sospeso a causa di problematiche tecniche e finanziarie con il team di sviluppo esterno incaricato dei lavori, Widescreen Games.
The Witcher, è stato salutato dalla stampa specializzata come uno dei migliori gdr del 2007. Il successo fu tale che, forse in parte inaspettato dagli stessi sviluppatori e persino dallo stesso autore dei romanzi, la saga letteraria iniziò finalmente a suscitare curiosità anche al di fuori dei confini della Polonia. Nel 2008 le opere letterarie di Sapkowski furono tradotte in lingua inglese e da lì in altre lingue. Soltanto a partire dal 2010 arrivarono in italiano pubblicate dalla casa editrice Nord per la quale peraltro l’editore decide, su imposizione dello stesso Sapkowski, di procedere a una traduzione inedita e indipendente dalla localizzazione del videogioco (da qui il perché non troverete mai il termine “strigo” nei videogiochi). Dopo il grande successo della loro opera prima il team di CD Projekt RED, che nel frattempo si era espanso, decise di realizzare un seguito delle avventure di Geralt.
The Witcher 2: Assassins of Kings debuttò inizialmente su Pc nel mese maggio 2011 e vantava un nuovo motore grafico proprietario: il REDengine. So tratta di un engine scalabile per piattaforme a 32 e 64-bit. Una seconda revisione del software permise la realizzazione e il rilascio del gioco anche su Mac OS X, Linux e Xbox 360 con la Enhanced Edition uscita un anno dopo, proprio come avvenne nel primo gioco della serie.
The Witcher 2 riprendeva la storia esattamente dalla sequenza cinematica finale del capitolo precedente. Anche in questo caso non è nostra intenzione trattare la storia e pertanto ci limiteremo a dire che il sottotitolo del gioco si riferisce a una serie di intrighi e cospirazioni politiche (in particolare di una certa loggia di maghe già incontrata nelle pagine dei romanzi a partire da “Il sangue degli elfi” in poi) nel quale il povero Gertalt si ritroverà invischiato diventandone una pedina nello schacchiere delle guerre tra i regni settentrionali e l’impero del sud di Nilfgaard.
Il gioco conservò per la quasi totalità gli elementi di gameplay che avevano riscosso tanto successo tra i videogiocatori. Rispetto al gioco precedente però gli sviluppatori decisero ﹣ in maniera alquanto discutibile ﹣ di inserire una decisione, al termine del primo dei tre atti che compongono la storia, in grado di mutare completamente la trama mettendo a disposizione del giocatore, da quel momento in avanti, quest, dialoghi e personaggi secondari del tutto differenti da quelle che avrebbe ottenuto effettuando la decisione opposta. Forse il motivo di questa scelta di design è da attribuire all’artificioso meccanica presente nel primo The Witcher in base alla quale a ciascuna conseguenza era associata una breve sequenza cinematica esplicativa.
Il sistema di combattimento di The Witcher 2 è però l’elemento ad aver subito maggiori cambiamenti: un’evoluzione di tipo più “action”, più vicina agli standard odierni per computer e console. Purtroppo esso non si rivelò intuitivo come avrebbero voluto gli sviluppatori e richiedeva un minimo di pratica. Ciò scatenò in rete anche più di una discussione tra gli appassionati. Infatti diversamente a quanto accadeva al primo capitolo della serie dove gli scontri col nemico erano caratterizzati sì macchinosi però, a causa della presenza della visuale strategica dall’alto, si riusciva almeno in parte a scongiurare il rischio che un’eccessiva componente action allontanasse dal gioco i videogiocatori meno dotati dal punto di vista dei riflessi. Oltretutto alcuni scontri con boss includevano alla fine sequenze di quick time event, alquanto fastidiosi e potenzialmente letali se falliti.
The Witcher 2: Assassins of Kings Enhanced Edition come già scritto poche righe svolgeva un ruolo analogo a quanto fatto dal team polacco col primo capitolo della serie. Probabilmente l’aggiunta di maggior rilievo è rappresentata da due nuove quest, piuttosto consistenti, collegate all’ultimo atto del gioco poiché era stato criticato a causa della sua estrema brevità. Inoltre l’aggiunta di sequenze in computer graphic all’inizio e alla fine del gioco collegano meglio questo capitolo con il precedente e il successivo. Ricordiamo infine la presenza di un’inedita (per la serie) di un (breve e superficiale) tutorial slegato dalla storia principale insieme alla modalità “Arena” atta ad affinare l’abilità del giocatore in combattimento. Quest’ultimo restava però di fatto inalterato rispetto alla versione “liscia” del gioco preservando la sua anima action con scontri tra Geralt e i suoi nemici confusi e difficili da gestire per il giocatore senza alcuna prontezza di riflessi.
Tra il secondo capitolo e il terzo delle avventure dello strigo trascorsero ben quattro anni durante i quali però fu prodotto nel 2014 un gioco da tavolo prima distribuito “fisicamente” dall’editore Fantasy Flight Games e in seguito una versione digitale per computer pubblicata da CD Projekt RED: The Witcher: Adventure Game. Si trattava di un piccolo “antipasto” prima della portata principale ﹣l’uscita di The Witcher 3﹣nel quale quattro giocatori ripercorrevano le vicissitudini di alcuni personaggi della saga (Geralt, la maga Triss Merigold, il bardo Dandelion e il nano guerriero Yarpen Zigrin) all’interno di ambientazioni popolari del mondo di Sapkowski. Alcuni degli asset grafici e sonori utilizzati nel gioco sarebbero stati in seguito riutilizzati all’interno del terzo capitolo videoludico.
Sebbene l’identità di The Witcher 3: Wild Hunt fosse già nota a tutti i videogiocatori sin dal febbraio dell’anno precedente (2013) il gioco, dopo una serie di ritardi, è approdato soltanto a fine maggio di quest’anno con un lancio contemporaneo su Pc, PlayStation 4, e Xbox One (a differenza di quanto accaduto con i due capitoli scorsi). Il rilascio su tutte e tre le piattaforme fu possibile grazie al balzo tecnologico del REDengine, giunto alla versione 3 e in grado di girare anche su console. Le differenze questa versione e le precedenti del motore balzano subito all’occhio poiché gli sviluppatori di CD Projekt RED lo hanno realizzato proprio per la creazione di videogiochi dalla struttura open world (e che intendono impiegare anche per il futuro Cyberpunk 2077). La precisione a 64-bit dell’engine migliora inoltre il rendering grafico durante le animazioni e le espressioni facciali, genera effetti di luce più realistici e supporta gli effetti volumetrici avanzati per la generazione di nuvole, pioggia, nebbia, fumo e altri effetti particellari; senza dimenticare una migliore fisica dinamica dei corpi (anche durante i dialoghi) e il texture mapping a definizioni “ultra-high”.
The Witcher 3: Wild Hunt prosegue conclude idealmente ﹣ almeno per il momento ﹣le vicende di Geralt introducendo però (in ritardo) il personaggio di Ciri la “bambina sorpresa” anche nota come “il leoncino di Cintra”. La figlia adottiva di Geralt, da sempre personaggio presente sin dalle prime due antologie di storie di Sapkowski è la vera protagonista delle opere letterarie dell’autore. Probabilmente la sua comparsa in questa terza e ultima parte delle avventure videoludiche di Geralt rappresenta, oltre alla volontà di concludere un arco narrativo che era rimasto sospeso persino nei romanzi, un atto di coraggio da parte del team di CD Projekt RED forte ormai delle potenzialità e del successo del franchise. Non ci addentreremo molto sul gioco in sé poiché vi invitiamo a leggere la nostra recensione completa di prossima uscita insieme all’imminente espansione Hearts of Stone.
Prima di concludere questo speciale vorremo analizzare un ultimo aspetto relativo al rapporto tra le opere letterarie e le produzioni videoludiche. Da quello che avete letto sinora probabilmente sareste indotti a pensare che questo fantastico matrimonio tra Sapkowski e CD Projekt RED abbia in qualche modo generato una simbiosi armoniosa: da un lato gli sviluppatori che si ritrovano con montagne di materiale dal quale attingere per i videogiochi e dall’altro l’inevitabile esposizione mediatica che lo scrittore e i suoi romanzi traggono da un’audience internazionale composta perlopiù da non-lettori bensì fan del videogioco.
Ebbene, purtroppo non è questo il caso. L’idillio tra le due realtà videoludica e letteraria non esiste: come riporta un’intervista di Eurogamer con Sapkowski l’autore non è un videgiocatore e non ha alcun interesse verso i videogiochi. Sebbene ammiri a volte la tecnologia considera il medium videoludico incapace di raccontare storie di qualsiasi rilievo rispetto ai libri. Non è in alcun modo artefice della produzione videoludica di CD Projekt RED (sebbene abbia dato il suo benestare riguardo il materiale prodotto dalla software house) e anzi ritiene che la saga videoludica di The Witcher sia solo una “storia alternativa” della sua epopea, non un seguito scritto da altri autori (gli sceneggiatori di CD Projekt RED). Nonostante ciò pensa che The Witcher sia un buon gioco e riconosce il merito e gli onori degli sviluppatori. Ma le storie di Geralt, secondo Sapkowski, possono essere raccontate da una sola persona, ossia lui. E non si risparmia neppure sui suoi editori che ﹣ secondo Sapkowski ﹣ fanno un grave disservizio includendo illustrazioni tratte dai videogiochi o pubblicità ad essi relativi all’interno delle ultime ristampe o edizioni dei suoi romanzi…