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(Recensione Pc) Karateka

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Nel 1984 un ragazzo universitario di Yale, tale Jordan Mechner, spinto dall’esigenza di narrare una storia tanto semplice quanto affascinante, decise di metter mano al suo Apple II e di sviluppare per esso uno dei primi videogiochi della storia: Karateka.
Parliamo di un platform misto ad un picchiaduro a scorrimento, da affrontare da sinistra verso destra con fondale statico, in cui il giocatore è chiamato ad impersonale un giovane praticante di arti marziali che scala una parete rocciosa e si avventura in una fortezza. La sua missione è salvare la principessa Mariko – suo unico e vero amore – dalle grinfie del malvagio Lord Akuma, intenzionato a prenderla in moglie ad ogni costo.
Animazioni allo stato dell’arte, ambientazioni fortemente evocative e scelte di gameplay futuristiche hanno messo tutti d’accordo, ventinove anni fa: Karateka era un bellissimo gioco. Peccato che i tempi fossero immaturi per fargli fare il “boom” di vendite.

LA RISCOSSA DELLO SVILUPPO INDIPENDENTE

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Quasi trent’anni dopo, lo stesso Jordan Mechner, colpito positivamente dalla sua breve avventura nel Cinema (ha collaborato alla sceneggiatura del film Prince of Persia: The Sands of Time) e traumatizzato – in senso positivo – dall’enorme successo di critica e pubblico avuto da Limbo, progetto indipendente dei danesi Playdead, si è deciso ad assumere il ruolo di investitore informale, a mettere sotto contratto a progetto alcuni talentuosi ragazzi di Liquid Entertainment (gli stessi di Rise of the Argonauts) e ha provato ad emulare una produzione indipendente come l’apprezzata Playdead. Il risultato venne alla luce sul finire del 2012, a novembre: Karateka è tornato sotto forma di videogioco da scaricare digitalmente via Xbox Live Arcade, Playstation Network e Steam. Grafica, sonoro ed animazioni sono cambiati – come era lecito attendersi – ma il nucleo del gameplay di quel fantastico Karateka datato 1984 e griffato Broderbund no.

TANTO SEMPLICE ALL’APPARENZA…

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Karateka si presenta come un picchiaduro su binario estremamente semplice da giocare ma più profondo di quanto si possa pensare, per essere padroneggiato al meglio. Il giocatore viene immerso in un Giappone feudale fantasioso – che sembra venire da un lungometraggio Disney – e il suo compito è quello di guidare l’eroe senza nome, il “Vero Amore” della principessa Mariko, nel cuore della fortezza di Akuma per poterlo sconfiggere e salvare la donzella in pericolo.
Per fare ciò non occorre altro che premere nell’unica direzione concessa finché non ci si imbatte in uno dei tanti sgherri del boss, a quel punto la telecamera cambia inquadratura per seguire le fasi di combattimento. Questo viene svolto con l’utilizzo di tre comandi: pugno, calcio e parata. Ogni incontro segue un preciso schema: prima attacca uno e poi l’altro. Durante la fase difensiva occorre che il giocatore prema il tasto di parata al momento giusto, come se si trattasse di un quick time event (termine tecnico che indica proprio il dover premere con il giusto tempismo un determinato pulsante).
Lo scopo è quello di sopravvivere agli incontri, evitando che la barra energetica in sovrimpressione, caratterizzata da dei triangoli colorati, vada ad esaurirsi, sancendo il definitivo k.o.

…QUANTO PROFONDO

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Meglio affrontiamo gli incontri e meglio è per la valutazione finale se e quando arriviamo alla fine del gioco. Il punteggio finale, inoltre, dipende fortemente da chi riuscirà a battere Akuma. Questo perché, contrariamente al gioco originale di trent’anni fa, Mechner ha deciso di aggiungere due seguaci al fianco del “Vero Amore” di Mariko: un monaco e un “bruto”. Nel nefasto caso in cui non si riesca a salvare la principessa con il vero protagonista della storia, e questo venga messo k.o da Akuma o da uno dei suoi sgherri, il suo posto viene preso prima dal monaco e – nel caso fosse messo anche lui k.o – dal bruto.
Questa particolare scelta di gameplay sortisce l’effetto di rendere il gioco sempre più semplice sotto al profilo della difficoltà ma più avaro in termini di punteggio finale. Ci si accorge presto, specie sul finire dell’avventura, che pur essendo semplice il sistema di controllo, non lo è affatto arrivare fino in fondo con il vero protagonista del gioco. Stesso discorso coinvolge i punteggi finali che vengono raccolti in una classifica mondiale: è veramente difficile riuscire a scalare la vetta di questa se non si inizia a padroneggiare per bene ogni singolo, semplice, aspetto dei combattimenti.

QUALITA’ ALTALENANTE

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Karateka stupisce grandemente sotto gli aspetti della direzione artistica e colonna sonora, mentre fa storcere il naso sul fronte della qualità grafica complessiva, incluse le animazioni dei personaggi. Riguardo alle prime occorre spendere due righe per complimentarsi con Merchner e i ragazzi di Liquid Entertainment, perché con i pochi mezzi economici e strumentali a disposizione hanno realizzato un’atmosfera fiabesca di sicuro impatto, che lascia a bocca aperta in più di un’occasione.
Lo stesso dicasi per la colonna sonora, affidata all’illustre Christopher Tin, passato agli annali per aver vinto un Grammy nel 2011 per il suo lavoro musicale in Civilization IV, che è riuscito a comporre, per Karateka, una sorta di rhythm-game (gioco musicale, in gergo) che si può affrontare seguendo il ritmo di note ed effetti sonori.Fanno da contraltare una resa grafica tutt’altro che brillante, caratterizzata da pesante aliasing (scalettature ai bordi dei poligoni) e da animazioni dei personaggi che – secondo la modesta opinione di chi scrive – potevano essere ricostruite meglio e collegate fra loro risultando più naturali e convincenti.
In ultima analisi bisogna evidenziare come sia d’altri tempi anche la durata di tutta l’avventura: in media si arriva a leggerne i titoli di coda fra i venti ed i quaranta minuti, dipende dall’abilità di ciascuno.
Veramente poca cosa, considerata la durata media di altre produzioni indipendenti, ma non è del tutto ingiustificata: nei piani degli sviluppatori si vuole garantire un’elevata rigiocabilità, specie votata al miglioramento della propria tecnica individuale e al superamento dei record di classifica pubblici. E’ doveroso ricordare che, comunque, si tratta di una produzione indipendente affrontata con risorse economiche veramente relative (ha pagato Mechner di tasca propria), ragion per cui il rapporto fra la qualità finale, il valore del prodotto e il costo per cui averlo in collezione è decisamente a favore delle prime.

COMMENTO FINALE

Karateka non è un salto nel passato propriamente detto. L’abbiamo vissuto più come un nuovo modo di intendere un vecchio videogioco che è passato alla storia. Questo nuovo Karateka deve, purtroppo, fare i conti con i tempi che corrono, con un’utenza dai gusti e dalle pretese difficili da soddisfare. Semplice, anzi, semplicissimo da giocare e da completare in venti minuti al primo tentativo, fa emergere tutta la sua profondità quando si ricomincia per battere il record personale ed altrui oppure per sconfiggere Akuma con l’unico personaggio che conta veramente: l’eroe senza nome, promesso sposo di Mariko. Un must per gli ammiratori dei giochi di Jordan Mechner, un piacevolissimo passatempo per tutti gli altri.

Pregi: Artisticamente affascinante. Comparto sonoro eccezionale. Difficile riunire il vero eroe e Mariko.

Difetti: Dura meno di mezz’ora. Graficamente trascurato. Animazioni perfettibili.

Voto finale: 7,5

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