Dragon Quest I & II HD-2D Remake, dove tutto è iniziato, recensione
Le radici del mito, restaurate con rispetto
Ci sono giochi che non si limitano a raccontare una storia: fondano proprio un genere. Dragon Quest I e Dragon Quest II sono esattamente questo. Pubblicati originariamente nel 1986 e 1987, hanno definito il DNA del genere JRPG, influenzando decenni di sviluppo videoludico. E ora, con il remake in HD-2D, Square Enix ci invita a tornare là dove tutto è cominciato, chiudendo la trilogia di Erdrick iniziata con il rifacimento del terzo capitolo.
E’ bene però tener presente che non si tratta solo di un’operazione nostalgia. È un restauro attento, rispettoso, che cerca di rendere accessibili due titoli storici senza snaturarli. E ci riesce, seppur con qualche inevitabile compromesso. Tuffiamoci allora in questa recensione della versione PS5 di Dragon Quest I & II HD-2D Remake, curata dalla nostra Kim Fuentes. Ricordiamo che il gioco, pubblicato da Square Enix, è disponibile anche su Pc, Xbox Series X/S e Switch. Buona lettura.
DRAGON QUEST I – L’EROE SILENZIOSO E IL REGNO PERDUTO
Il primo Dragon Quest è puro minimalismo narrativo. Vestite i panni dell’erede di Erdrick, chiamati a salvare il regno di Alefgard dalla minaccia del Dragonlord. Non ci sono party, né sottotrame elaborate: è una quest solitaria, quasi ascetica, che si sviluppa attraverso dialoghi essenziali e un mondo che si apre lentamente.
La forza del gioco sta nella sua struttura: ogni villaggio, ogni dungeon, ogni oggetto ha un senso preciso, e nulla è superfluo.
È un design che oggi può sembrare scarno, ma che all’epoca era rivoluzionario. E nel remake questa essenzialità viene esaltata dal ritmo più fluido, dai caricamenti istantanei e dalla leggibilità migliorata. Non aspettatevi colpi di scena o personaggi memorabili, bensì un viaggio che, proprio nella sua semplicità, riesce a trasmettere un senso di scoperta autentica. E quando finalmente affronterete il Dragonlord, non sarà solo una battaglia: sarà la chiusura di un cerchio.
DRAGON QUEST II – UN MONDO PIÙ GRANDE E PERICOLOSO
Il secondo capitolo amplia tutto: la mappa, il party e la complessità. Non siete più soli, ma accompagnati da due discendenti di Erdrick, ciascuno con abilità diverse. Il mondo è più vasto, più aperto ma anche più difficile. E la narrazione, pur mantenendo uno stile sobrio, introduce elementi di politica, di eredità e di sacrificio. La progressione infine è meno lineare, e richiede quindi più attenzione. Alcuni dungeon sono labirintici, e la gestione delle risorse diventa cruciale.
Il bilanciamento poi è migliorato rispetto all’originale, ma resta comunque impegnativo. Dragon Quest II infatti è noto per i suoi picchi di difficoltà, e il remake non li elimina proprio del tutto. Li rende però più affrontabili, grazie a piccoli accorgimenti come il salvataggio rapido e la possibilità di consultare indizi più chiari. È un gioco che vi chiede di essere pazienti, di esplorare e di ascoltare. E quando lo fate, vi accorgete che sotto la superficie c’è una storia più profonda di quanto sembri.
GAMEPLAY CLASSICO MA RIFINITO
In Dragon Quest I & II HD-2D Remake viene naturalmente mantenuto il sistema di combattimento a turni, con interfaccia semplificata e comandi intuitivi. Non ci sono animazioni elaborate, ma ogni scontro è leggibile, veloce ed efficace. Il remake ha introdotto alcune migliorie “invisibili” ma fondamentali come per esempio il ritmo, che risulta più sostenuto, oppure i menu più snelli, e la gestione dell’inventario molto più fluida. Nel primo capitolo il combattimento è solitario: ogni scelta conta, e la gestione del mana diventa una questione di sopravvivenza.
Nel secondo invece il party introduce dinamiche più strategiche, con magie di supporto, attacchi combinati e una maggiore varietà di nemici. Non è un sistema profondo (almeno per gli standard odierni), ma è coerente con l’epoca e con l’intento del remake: restituire l’esperienza originale senza appesantirla troppo. Le fasi esplorative infine risultano migliorate grazie alla nuova visuale isometrica e alla mappa più leggibile. Non ci sono indicatori invasivi, ma il gioco vi guida con discrezione. E quando vi perdete, è perché dovevate farlo: perché Dragon Quest è anche questo, un viaggio che si costruisce passo dopo passo, anche sbagliando percorso.
IL FASCINO DELL’HD-2D
Lo stile HD-2D, già visto in Octopath Traveler e Live A Live, trova qui una nuova maturità. La pixel art è nitida, elegante, e si fonde con effetti di luce e profondità che danno vita a un mondo che sembra uscito da un libro illustrato. Ogni villaggio ha la sua atmosfera, ogni dungeon la sua identità visiva e ogni scorcio una composizione pensata. Il lavoro di restauro è evidente: le animazioni sono fluide, le transizioni morbide, e la resa visiva è coerente con l’estetica della saga.
Non è una grafica che cerca (ovviamente) il realismo, bensì la suggestione. E ci riesce, soprattutto nei momenti di quiete: un tramonto su Alefgard, una notte stellata nel deserto o un castello che si staglia contro il cielo. La colonna sonora poi, riarrangiata con strumenti orchestrali, mantiene le melodie originali di Koichi Sugiyama, ma le veste di nuovo. I temi sono riconoscibili ma più pieni, più caldi e più evocativi. E accompagnano l’avventura con discrezione, senza mai sovrastarla.
UN EQUILIBRIO TRA FEDELTÀ E ACCESSIBILITÀ
Square Enix ha scelto di non stravolgere nulla. Non ci sono nuove missioni, né contenuti aggiuntivi. Sono però presenti migliorie che rendono l’esperienza più fluida, come ad esempio i già citati salvataggi rapidi, l’interfaccia più moderna e tutorial discreti. È un remake che non vuole riscrivere la storia, ma renderla più leggibile per chi non l’ha vissuta. Il lavoro di localizzazione è solido, con testi chiari e traduzioni rispettose.
Non ci sono doppiaggi, ma il ritmo dei dialoghi è ben calibrato. E anche se la narrazione resta essenziale, ogni parola sembra scelta con cura. La durata complessiva è contenuta: circa 10 ore per il primo capitolo e 15 ore per il secondo. Ma non è una questione di quantità, bensì di ritmo, di atmosfera e di rispetto verso l’opera originale. E in questo, il remake riesce a essere moderno senza perdere l’anima dell’esperienza originale.
DA AVERE ASSOLUTAMENTE
Dragon Quest I & II HD-2D Remake non è un’operazione commerciale. È un gesto di cura e di memoria, ma sopratutto di rispetto da parte di Square Enix. Due giochi che hanno fondato un genere, ripresentati con eleganza, senza fronzoli e senza troppi compromessi. Non sono titoli per chi cerca l’epica o la complessità. Ma sono fondamentali per chi vuole capire da dove tutto è cominciato. E se vi lasciate trasportare, se accettate il ritmo lento, la narrazione essenziale e il design d’altri tempi, scoprirete che sotto la superficie c’è ancora qualcosa che vibra. Qualcosa che parla di avventura, di scoperta e di coraggio. E che, a distanza di quasi quarant’anni, riesce ancora a emozionare.
Pregi
Restauro rispettoso. Stile HD-2D evocativo. Colonna sonora riarrangiata. Miglioramenti invisibili ma efficaci: interfaccia più snella, caricamenti istantanei, salvataggi rapidi. Accessibilità moderna: tutorial discreti, mappa leggibile, ritmo più fluido. Esperienza fedele ma più fluida. Durata contenuta ma soddisfacente.
Difetti
Assenza di contenuti aggiuntivi: nessuna nuova missione o espansione narrativa rispetto agli originali. Bilanciamento ancora impegnativo nel secondo capitolo.
Voto
9