Dying Light: The Beast, alla ricerca di una bestiale vendetta, recensione

Kyle Crane torna protagonista di questo nuovo capitolo, che riprende quanto lasciato in sospeso da The Following

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Ci sono videogiochi che per un motivo o per l’altro, riescono a conquistare subito gli appassionati. Titoli tutt’altro che perfetti, ma che risultano così divertenti e coinvolgenti da tenere il giocatore incollato allo schermo fin dai primi minuti. Anche quando siamo perfettamente consapevoli delle loro imperfezioni o del fatto che si portano dietro strutture e meccaniche inflazionate e/o un po’ datate, il piacere del gameplay riesce comunque a prevalere.

Un esempio lampante lo troviamo non in un singolo capitolo, ma nell’intera saga di Dying Light. La serie debuttò nel 2015 con un’esperienza complessivamente memorabile, e che venne seguita da un’espansione (The Following ndr) che arricchì la storia del protagonista, Kyle Crane, mantenendo alta l’asticella del divertimento. Successivamente, nel 2022, il team di Techland rilasciò Dying Light 2. Nuovo protagonista, nuove meccaniche e divertimento in quantità: il tutto però venne penalizzato da diversi problemi tecnici al lancio.

Oggi però parleremo di Dying Light: The Beast, una nuova avventura concepita inizialmente come espansione del secondo capitolo finalizzata a narrare le ultime vicissitudini di Crane. Col tempo però il progetto si è espanso fino a diventare un titolo a se stante, che vede proprio il buon Kyle tornare nelle vesti di protagonista, a partire dagli eventi lasciati in sospeso su The Following.

Di seguito la recensione della versione Pc di Dying Light: The Beast, curata dal nostro Claudio Szatko. Ricordiamo che il gioco, pubblicato dalla stessa Techland, è disponibile anche su PS4, PS5, Xbox One e Xbox Series X/S. Buona lettura.

UNA STORIA DI VENDETTA E MOSTRUOSITÁ

La trama prende piede a Castor Woods (Europa), dieci anni circa dopo gli eventi del primo capitolo, e più precisamente della sua espansione The Following. Kyle Crane, di ritorno come protagonista, è deciso a consumare la sua personale vendetta contro un personaggio noto come il Barone, che in precedenza lo aveva catturato e sottoposto a dolorosi esperimenti per anni. Sul fronte della sceneggiatura il titolo propone spunti interessanti. In certi momenti potrà anche risultare prevedibile, ma non mancheranno dei colpi di scena.

Inoltre poter vestire nuovamente i panni di Crane rappresenta già di suo un valido motivo per seguire la storia mentre si fanno a pezzi zombie e umani ostili. Sul piano strutturale però emergono limiti evidenti. Il più fastidioso riguarda il fatto che la libertà di esplorare il mondo di gioco risulta, specialmente all’inizio, vincolata in maniera decisa al livello del personaggio. Non ci troveremo muri invisibili o porzioni di mappa da sbloccare con l’avanzamento nella trama.

Sulla carta saremo liberi di esplorare ogni angolo di Castor Wood dal principio… Peccato però che molte zone saranno popolate da nemici di livello parecchio superiore al nostro, che ci renderanno la vita impossibile, o quantomeno assai complicata. Perciò, almeno nelle prime ore di gioco, saremo “costretti” a seguire gli eventi della trama per acquisire i primi livelli e ottenere così l’esperienza necessaria a esplorare l’intero mondo di gioco senza troppi patemi d’animo.

Abbiamo trovato questa scelta di design un po’ retrograda, e che testimonia non a caso il fatto che Dying Light: The Beast costituisce un progetto concettualmente elaborato anni fa. Detto questo, chiunque si avvicini a questo nuovo capitolo saprà probabilmente cosa aspettarsi, e quindi non si lascerà scoraggiare facilmente da questa sorta di “rigidità”. Di norma l’avventura va vissuta in solitaria, ma alla pari dei capitoli precedenti fino a quattro giocatori possono condividere la stessa partita, con un sistema di progressione condivido per tutti i membri del team.

SOPRAVVIVERE A CASTOR WOODS

Il sistema di movimento rappresenta ancora una volta un pilastro fondamentale dell’esperienza, oltre che una vera e propria impronta stilistica della serie targata Techland. Il parkour in prima persona, di altissimo livello, permette di saltare tra i tetti e superare quasi ogni ostacolo con un’agilità che cresce proporzionalmente al potenziamento delle abilità del protagonista (sì, sono presenti meccaniche RPG in tal senso).

Sfrecciare sui tetti, correre, affrontare sezioni di arrampicata che talvolta potranno diventare piccoli enigmi ambientali… Tutto questo rappresenta il cuore del gameplay, soprattutto ai livelli di difficoltà più alti, dove i nemici infliggono davvero molti danni e ogni movimento conta. A queste dinamiche si aggiunge la possibilità di guidare veicoli, elementi cruciali per farsi strada tra le orde di infetti in alcuni momenti chiave dell’avventura. O in generale per spostarsi più rapidamente e in sicurezza tra due aree distanti, tanto più che gli spostamenti rapidi sono stati eliminati del tutto.

Parlando del mondo di gioco, in passato Castor Woods era una rinomata meta turistica, poi devastata dall’infezione. Gli scenari sono estremamente vari e comprendono un villaggio turistico, un’area industriale, un parco nazionale, fattorie, paludi, centrali elettriche e molto altro. Uno dei punti di forza di Dying Light: The Beast è la capacità di invogliare il giocatore all’esplorazione e al saccheggio.

Questo non solo perchè raccogliere risorse sarà fondamentale (soprattutto ai livelli di difficoltà più alti), ma anche perchè il gioco stimola la curiosità con segnali misteriosi, convogli militari carichi di armi o semplici negozi che possono nascondere equipaggiamento utile. Non si tratta certo di un open world rivoluzionario, ma risulta comunque ben pensato e realizzato, e dunque capace di centrare il suo obiettivo in quanto open world: mantenere costante la voglia di esplorare.

UN MODO DI COMBATTERE “BESTIALE”

La principale novità sul fronte del gameplay riguarda la nuova condizione di Crane, che ora possiede un DNA ibrido, metà umano e metà zombie/volatile. Questo si traduce nella possibilità di attivare la modalità Bestia, che ci doterà di una forza sovrumana, poteri speciali e una brutalità senza limiti in determinate situazioni. E’ una meccanica che gioca anche con la dualità uomo/mostro del protagonista: nessuno può amare trasformarsi in un mostro, per quanto potente, soltanto per vendicarsi del proprio nemico… O forse sì?

Il combat system porta così la tradizionale ferocia della saga a un livello ancora più estremo, con smembramenti e spargimenti di sangue a contornare quasi ogni scontro. Per massacrare infetti e avversari umani, oltre alle abilità di Crane e ai suoi “bestiali” poteri, troviamo un ampio arsenale di armi da fuoco e da mischia. Come da tradizione queste ultime rimangono le vere protagoniste, visto che quelle da fuoco sono ancora una volta limitate dalla scarsità di munizioni, soprattutto alle difficoltà più alte.

Nel complesso, gli scontri si rivelano davvero divertenti, sia in forma umana che in quella bestiale. La parte più soddisfacente rimane sempre quella relativa all’uso delle armi da mischia contro gli infetti. Rispetto ai capitoli precedenti noteremo anche un netto miglioramento relativo alla resa visiva dei colpi, con membra finemente spappolate. Non che esplosivi, granate o armi da fuoco non siano appaganti a loro modo, ma quel tocco di gore che solo le armi da mischia possono regalare sembra sposarsi meglio con la nuova “bestiale” veste del protagonista.

Dying Light: The Beast mantiene poi intatta un’altra caratteristica iconica della serie: il ciclo giorno-notte. Durante le ore diurne l’obiettivo principale resterà quello di completare le missioni, esplorare e raccogliere risorse. Con il calare delle tenebre invece l’atmosfera cambierà radicalmente. La notte infatti libera gli orrori peggiori, che renderanno ogni passo infinitamente più pericoloso. Spesso saremo dunque costretti a correre, nascondersi e lottare disperatamente per sopravvivere fino all’alba.

FINALMENTE QUALCOSA CHE GIRA COME SI DEVE

Sul piano tecnico, Dying Light: The Beast offre una resa più che convincente, pur restando un gradino sotto ad altre grosse produzioni di quest’anno. Va detto però che l’opera di Techland non ha bisogno di spingersi oltre per brillare: il numero di nemici che possono apparire simultaneamente a schermo e la cura riposta nelle animazioni sono due solidi esempi della bontà del lavoro svolto dal team polacco.

Siamo inoltre rimasti soddisfatti dalle performance: di questi tempi è tutt’altro che scontato riuscire a trovare una software house anche solo intenzionata a lanciare sul mercato un prodotto decentemente ottimizzato. Certo non mancano episodi di popping o piccoli bug grafici, ma l’esperienza risulta decisamente positiva sul versante tecnico e prestazionale. Anche il comparto sonoro risulta di buon livello.

Il gioco è sottotitolato (ma non doppiato, come il primo capitolo) in italiano, con il doppiaggio in inglese che appare decisamente convincente grazie soprattutto alla prova di Roger Craig Smith, voce di Crane ma anche di altri personaggi memorabile come Chris Redfield ed Ezio Auditore. Gli effetti audio svolgono il loro cruciale compito soprattutto nelle fasi notturne, dove le urla degli infetti creano un’atmosfera terrificante unica e con la colonna sonora capace di accompagnare l’azione in maniera egregia in ogni circostanza.

DA AVERE SENZA RISERVE

Dying Light: The Beast non rappresenta una rivoluzione né per la saga né tantomeno per il genere di riferimento. Si percepisce chiaramente che si tratta di un progetto nato diversi anni fa, con alcune rigidità strutturali e un design, soprattutto relativo alle missioni, che mostra i segni del tempo. Ma dopotutto parliamo di Dying Light, e la domanda è: ciò importa davvero? Sì e no.

Ancora una volta infatti il team di Techland è riuscito a confezionare un’esperienza non perfetta ma molto divertente e soddisfacente. Questo grazie a un sistema di movimento e combattimento molto solido, al carisma del protagonista e al terrificante fascino dell’atmosfera che regna in Castor Woods. Ora tocca a voi fare a pezzi orde di infetti, stringere alleanze, esplorare luoghi e liberare la vostra bestia interiore. Fatevi sotto.

Pregi

Gameplay non rivoluzionario (ma che prende tutto il meglio offerto dalla serie finora) ma comunque agile, brutale ed estremamente divertente. Combattimento corpo a corpo "viscerale" e soddisfacente. Prestazioni, anche su Pc, obiettivamente solide: una rarità di questi tempi.

Difetti

La struttura generale e il design delle missioni risultano abbastanza datati: si capisce che è un titolo concepito anni fa e uscito un po' "in ritardo".

Voto

8+