Assassin’s Creed: Valhalla, recensione PS4

Nulla è reale, tutto è lecito anche tra i vichinghi e nel Walhalla

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Nato da una costola di Prince of Persia, Assassin’s Creed con tanta fortuna e non poco supporto sia del pubblico che degli sviluppatori, è diventato un franchise, una saga, un vero e proprio fenomeno di culto. Questo lo dobbiamo a Ubisoft Montreal, che nel lontano 2007 ci ha catapultato nel periodo della Terza Crociata, quella dei Re, quella di Riccardo Cuor di Leone che non è riuscito ad espugnare Gerusalemme.
Dal novembre 2007, tra memoria genetica residua, indagini in una “macchina del tempo” di nome Animus, intrighi e colpi di scena degni della miglior serie televisiva o saga cinematografica, Assassin’s Creed è ancora tra noi, a distanza di tredici anni e con la nona generazione di videogiochi ormai avviata. La “gallina dalle uova d’oro” di Ubisoft ha scritto pagine di storia del videogioco e continua farlo, evolvendosi.
Assassin’s Creed: Valhalla è l’ultimo parto creativo dello studio di Montreal, è disponibile su Pc, Stadia, PS4, PS5, Xbox One e Xbox Series X/S. La versione qui recensita fa riferimento a quella PS4, provata su PS4 Pro. Buona lettura.

MAI FARE DEL MALE A UN INNOCENTE

Solitamente si direbbe “tredici anni e non sentirli”. Tuttavia, questo lasso di tempo nel mondo dei videogiochi suonano più o meno come tre ere geologiche o quasi. In tredici anni abbiamo visto tre tipi di console, quattro considerando la “mid-gen” di PS4 Pro e Xbox One X. I videogiochi si sono evoluti, i trend e i nuovi standard di qualità si sono susseguiti ed imposti.

Più o meno dal 2015, con il pioniere The Witcher 3 ad aprire la pista seguita da The Legend of Zelda: Breath of the Wild, Horizon: Zero Dawn e tantissimi altri, i videogiochi d’azione e quelli di ruolo si sono fatti sempre più simili, amalgamati, fusi in un’offerta qui più spiccatamente action, lì più spiccatamente story-driven, sempre fondamentalmente free roaming. Tre parole che stanno diventando di uso comune tra gli appassionati più incalliti.

Assassin’s Creed ha passato dieci anni a reiterare se stesso senza grossi scossoni. Con l’eccezionale Black Flag che è ricordato proprio per la singolarità che lo ha distinto fra tutti. Il ritorno agli stilemi originali, tentato da Unity – prima – e Syndicate infine, ha portato la serie ad una specie di saturazione che ha spaccato in due la platea. Da un lato quella attaccatissima al gameplay originale, anche tanto limitante e limitato, ma spiccatamente votato alla trama. Da un altro quella vasta platea di chi si lamenta di un gioco ormai demodé e anacronistico, finanche noioso.

Così, con una pausa di ben due anni ed un lungometraggio pubblicato nel 2016 nel frattempo (canonico ai fini di trama, per chi non lo sapesse), si è tornati su Assassin’s Creed: Origins con una disarmante, spiazzante, certezza. Il vecchio Assassin’s Creed è morto, lunga vita ad Assassin’s Creed. Il resto, come si suole dire, è storia. Origins è stato un successo di critica e pubblico, la storia (per ogni appassionato che si rispetti) è splendida, il gameplay sulla scia dell’ultimo The Witcher e dell’ultimo The Legend of Zelda appare azzeccato per la maggioranza delle persone.

E’ vero, ci sono delle criticità, non è un gioco perfetto, è una nuova iterazione, un nuovo esperimento. E’ il Black Flag del suo tempo (non a caso è ideato dalle stesse persone). Black Flag ci traghettava tra una generazione e l’altra, mentre Origins ci traghettava in piena “mid-gen”, di PS4 Pro e Xbox One X. Quella generazione di mezzo che guarda(va) più al futuro che al passato. Poi venne Odyssey nel 2018, un successo bissato ed una mole di contenuti titanica, impressionante, fuori scala, vertiginosa, immersa in un contesto a dir poco meraviglioso: l’antica Grecia.

Gli aspetti da videogioco di ruolo d’azione sono stati raffinati, perfezionati, ottimizzati. La libertà di andare dove si vuole è aumentata. Agire secondo coscienza, seguendo linee di dialogo che conducono a conseguenze (anche gravi) è stato decisamente un passo in avanti. Quello verso la direzione “action GdR”. Un ulteriore distacco della “vecchia via”, senza mai dimenticare le origini.

Assassin’s Creed: Valhalla arriva a due anni di distanza da Odyssey. E’ stato realizzato dagli stessi creatori di Origins e Black Flag, non smetteremo mai di ribadirlo, perché la loro mano si nota tanto. Dall’ultimo capitolo a questo corrono milletrecento anni: dal 400 a.C. al 900 d.C. Ma soprattutto si torna a parlare della Confraternita degli Occulti (fondati da Bayek di Siwa nel 44 a.C.). Quella confraternita il cui motto è “Agire nell’Ombra per servire la Luce”. Vi ricorda qualcosa? E’ il motto di quelli che abbiamo sempre conosciuto come Assassini. In Assassin’s Creed: Valhalla, ricordare e poi praticare il Credo torna ad essere parte del motore della trama. Senza forzature o storture. Si parte dai più remoti fiordi norvegesi, mentre l’eco delle imprese del defunto Ragnar Lothbrok è ancora forte. Tanti uomini del nord sono attratti dalle prospettive di una nuova terra da conquistare. E’ sotto l’ala protettrice di uno di questi, Sigurd, che si muove il protagonista ed alter-ego di chi gioca: Eivor.

ESSERE SEMPRE DISCRETI

Eivor, per motivi spiegati nel gioco che non saranno riportati qui, può essere un uomo oppure una donna. Le ricerche e il lavoro tramite Animus, operate da Layla Hassan, hanno portato a questa possibilità. Può essere l’Animus a decidere se assumere sembianze di uomo oppure donna. Oppure può essere il giocatore stesso, tramite Layla, a prendere le vesti di un tipo o l’altro.

Ai fini di gioco non cambia assolutamente nulla. Il personaggio ha una sola personalità, un solo modo di dialogare, un solo modo di combattere, muoversi, interagire. Tutti i personaggi lo trattano in egual modo, sia che si tratti di un uomo oppure di una donna. Per onor di cronaca bisogna ammettere che Eivor è un nome norreno femminile, che la storia prima del gioco (narrata in un fumetto) la presenta di sesso femminile ed in generale sembra che il gioco “scorra” meglio quando il protagonista è donna. Un esempio su tutti è dato da un dialogo, in cui uno jarl (l’equivalente di un conte o di un vassallo) di sesso femminile lamenta il peso del comando in aggiunta a quello di essere donna. Con Eivor donna, sembra più marcata l’empatia tra i personaggi. Cosa oggettivamente più difficile da ottenere, nel caso di selezione del nerboruto e barbuto eroe.

L’aspetto che ci ha colpito di più è la progressione del personaggio, non più strettamente legata all’accumulo ossessivo di punti esperienza per incrementarne potenza e sbloccarne abilità. Adesso, il fatidico passaggio di livello porta al dispendio di punti talento. Questi talenti sono abilità passive che incrementano l’efficacia del personaggio secondo la nostra preferenza. Possiamo decidere di spendere più talenti per le capacità furtive, oppure per quelle da arciere, immancabili quelle da combattimento.

Le abilità si ottengono in maniera diversa. Il mondo di gioco è pieno di tomi del sapere, che vanno conquistati e letti avidamente. La loro lettura porta allo sblocco dell’abilità. Diversamente da Origins e da Odyssey, dunque, non è più il giocatore a scegliere se ottenere l’abilità “scaglia la freccia potente”. L’appassionato deve fare i conti con quello che trova e quello che apprende. Ci sono anche quelle abilità che si sbloccano soltanto andando avanti nella storia o conseguendo missioni secondarie.

L’abilità oratoria adesso è stata evidenziata, cosa mai fatta in precedenza. In Odyssey potevamo scegliere se mentire o assumere un tono aggressivo (fino a sfociare a minacce di morte e sentenze di morte). Adesso possiamo sbloccare linee di dialogo aggiuntive, magari per risolvere una disputa in maniera pacifica, solo tramite il miglioramento dell’arte oratoria. Questa si migliora tramite gare di poesia in rima, che ci hanno ricordato tantissimo le gare di insulti di The Secret of Monkey Island.

Le abilità legate alla capacità di muoversi come un Assassino vengono apprese durante lo svolgimento della storia. Finalmente non assistiamo a protagonisti che sanno cosa sia un salto della fede (e come effettuarlo) oppure che sappiano usare una lama celata senza mai averla vista prima. L’adozione delle tattiche e delle movenze degli assassini non avviene tramite scienza infusa e miracolo, ma tramite scene interattive che ci introducono, spiegano, svelano dettagli. Tutto grasso che cola, autentico “fanservice di tecnicismi e citazioni”, se ci passate il termine.

NON COMPROMETTERE LA CONFRATERNITA

Rispetto ad Odyssey, la gestione della drakkar vichinga è pressoché assente. Possiamo personalizzarne polena e aspetto ma non occorre più potenziarne rostro, arcieri e scafo. Le battaglie navali sono un lontano ricordo (per fortuna) e tutto quello che occorre fare è risalire i fiumi inglesi (e i fiordi norvegesi) fino a monasteri e villaggi da poter razziare. La razzia segue sempre lo stesso schema: si uccidono tutti i difensori armati e poi si setaccia il posto per il lauto bottino. Questo varia da tomi del sapere a equipaggiamento da utilizzare, finendo con scorte e materie prime.

Queste ultime due risorse sono fondamentali per l’espansione ed il miglioramento del villaggio di Ravensthorpe. Qui possiamo costruire e migliorare le botteghe degli artigiani, più ulteriori punti focali che servono per ottenere missioni, incarichi e procedere nella trama.
Possiamo definirlo una sorta di Nexus (rubando la terminologia di Demon’s Souls) oppure più tecnicamente un “Hub”, un calderone, un posto che raccoglie tutto il necessario per approfondire gli aspetti gestionali tipici dei videogiochi di ruolo. E’ anche possibile assoldare un mercenario che altri giocatori possono usare per le loro razzie, questo ci ha ricordato un po’ il sistema delle pedine di Dragon’s Dogma.

Le mappe di Assassin’s Creed: Valhalla sono enormi. La sola parte dedicata all’Inghilterra vanta circa 120 kilometri quadrati ed è la più grande. Le altre mappe sono più contenute, ma ugualmente impressionanti. Tutte godono di una cura per orpelli e dettagli non indifferente. Il vero peccato, i puristi, possono evidenziarlo sulla ricercatezza storica: prossima allo zero. Per chi vi scrive non è un male: il fantasy storico è sempre gradito e apre spiragli mitologici che fanno solo piacere. Per altri, invece, è un’occasione sprecata perché si può divulgare cultura anche in questo senso, e non ci sentiamo di dargli torto.

Altra parte decisamente convincente riguarda la varietà e la modalità in cui si evolvono le missioni secondarie. Queste non offrono grandi indicatori, indicazioni, istruzioni. Bisogna ascoltare bene i dialoghi e aguzzare la vista e l’ingegno per superarle senza “bloccarsi”. Portiamo due esempi: durante le nostre avventure ci imbattiamo in una gattara visibilmente psicolabile, che ha imprigionato in casa sua molti gatti. Più avanti ci siamo imbattuti in un contadino che lamentava una presenza esagerata di roditori che guastavano il raccolto e la casa. A quel punto l’interfaccia di gioco non aggiunge nulla, il protagonista non commenta. E’ tutto in mano del giocatore, che deve prima ricordarsi dei gatti e poi capire come liberarli.

Altro esempio riguarda un monaco, seduto fuori da una casa e intento a salmodiare. Avvicinandoci, questi inizia a vantarsi della sua spiritualità e dello scarso attaccamento ai beni materiali. Infine ci sfida a dar fuoco alla proprietà, perché a lui non avrebbe toccato alcun sentimento. Una volta data alle fiamme, questi si alza dal posto in cui riposava e lascia cadere una chiave. Questa apre una cantina sul retro della sua abitazione che nasconde i crimini compiuti dal monaco.

Di esempi ce ne sarebbero altri da fare e raccontare: un cacciatore che ha appestato casa con i propri escrementi, un alchimista che promette ricchezze a volontà dopo aver bevuto un intruglio, un presunto campione incontrastato di rime e poesie. Insomma: la varietà c’è, e non è neanche poca. Ogni missione è tutta da scoprire e tutto concorre ad alzare la qualità finale.

VIVI SECONDO IL CREDO

E la storia principale? Lungi da noi rivelare troppi dettagli, quello che ricorre da tredici anni a questa parte è il solito canovaccio: il protagonista subisce un forte trauma, deve fare i conti con colpi di scena e tradimenti, inizia un lungo viaggio alla scoperta di se stesso. Solita minestra, fino a qui, ma in Assassin’s Creed: Valhalla c’è dell’altro. Si torna a parlare del Credo, si torna ad ascoltare per cosa, gli Occulti, combattono. Si torna ad impugnare la lama celata e viene dato un significato specifico, profondo, anche al Salto della Fede. Ce n’è abbastanza da mandare in brodo di giuggiole ogni appassionato di vecchia data. E abbastanza per affascinare i nuovi appassionati.

Come ogni grande produzione che si rispetti, anche Assassin’s Creed: Valhalla ha difetti. 140 kilometri quadrati di area esplorabile sono la croce e la delizia di ogni giocatore, per questo ci sarà una frangia che condannerà tanta quantità e una che la osannerà.

Dopo The Witcher 3 il mondo degli “open world” non è stato più lo stesso e la preferenza del pubblico sta premiando la scelta di Ubisoft. Assassin’s Creed: Valhalla è propriamente un’opera “fantasy-storica”, con tante licenze poetiche, oggetti anacronistici, creature mitologiche con cui avere a che fare. Se le animazioni, generalmente, convincono, quelle che lasciano sempre un po’ perplessi restano quelle facciali, a volte autenticamente d’altri tempi. Il doppiaggio in italiano ci è sembrato infelicemente pomposo, aulico, ricercato, “omerico”.

L’enfasi epica poteva funzionare in Assassin’s Creed: Odyssey e lì non ci è risultata inutilmente sofisticata, al contratio. In Assassin’s Creed: Valhalla l’effetto è quasi quello di ascoltare i “barbari vichinghi” esprimersi come in un circolo di Stilnovisti: caricaturale. Il discordo cambia po’ volgendo i dialoghi in inglese, ma le gare di rima e poesia le avremmo gradite di gran lunga in Italia alla fine del Quindicesimo secolo, non in Inghilterra del 900 d.C.

Infine ci lascia sempre perplessi questa politica di Ubisoft di frenare con la zavorra le console mid-gen come PS4 Pro e Xbox One X, sicuramente capaci di farsi ammirare in azione con fluidità superiore rispetto alle sorelle maggiori, almeno in Full HD. Fortunatamente il gioco è perfettamente godibile e una gioia per gli occhi e orecchie. Chiudiamo l’intervento proprio riguardo al comparto audio: gli effetti sonori sono campionati a regola d’arte, tuttavia per la prima volta dopo anni, non siamo incappati in una colonna sonora che potesse lasciarci a bocca aperta. Dalla penna che ha consegnato alla storia (tra le tantissime colonne sonore) quella di Assassin’s Creed II, ci aspettavamo qualcosa di più memorabile. Peccato.

COMMENTO FINALE

Assassin’s Creed: Valhalla è l’ultima fatica di Ubisoft Montreal, concepito e poi realizzato dagli autori del primo Assassin’s Creed, di Black Flag e di Origins, rinomati per essere alcuni tra i più apprezzati dell’intero franchise in termini assoluti. E’ un videogioco d’azione e avventura in terza persona, con forte componente da videogioco di ruolo d’azione (prende a piene mani dagli stilemi dettati da The Witcher 3). Non risparmia ampia libertà di giocare stealth e il tanto sospirato free-roaming (libertà d’esplorazione) tanto desiderato negli ultimi lustri.

La Norvegia e l’Inghilterra del 900 dopo Cristo sono realizzate splendidamente. L’area esplorabile sfora i 140 kilometri quadrati e le attività deputate a intrattenere al di fuori della trama principale non sono uguali tra loro, soprattutto le missioni secondarie. Di queste apprezziamo che non ci siano aiuti al loro completamento e tutto è lasciato alla capacità logico/deduttiva del giocatore.

L’impianto da videogioco di ruolo d’azione è stato rivisitato. Adesso non basta più assegnare punti abilità, sostituiti da talenti. Questi si accumulano e portano a maggiore efficienza nelle fasi di gioco. Le abilità vanno apprese mediante esplorazione e/o superamento di logici puzzle.

Non mancano di certo tutti i capisaldi della saga. La lama (ancora poco) celata, il salto della fede, il Credo, l’eterna lotta fra Templari ed Assassini. Fuori dall’animus ci sono sempre Shawn Hastings e Rebecca Crane, che accompagnano gli appassionati da ormai 13 anni .

Assassin’s Creed: Valhalla è, senza ombra di alcun dubbio, il migliore Assassin’s Creed dell’ottava generazione di console. Il migliore dell’ultima trilogia (Origins, Odyssey, Valhalla), di fianco ad Origins si pone come tra i migliori di tutta la saga.

Pregi

Fantasy storico più unico che raro. Vichinghi lontani dall'accuratezza storia ma funzionali al contesto di gioco. Il Credo dell'Assassino torna a farsi conoscere ed apprezzare. Mappa che sfora i 140 kilometri quadrati esplorabili. Rivisitazione, in chiave migliore, del sistema di livellamento, di albero abilità, di progressione generale. Vario e costantemente sorprendente.

Difetti

La deriva "alla The Witcher 3" tiene alla larga i sedicenti "ortodossi" della saga. Licenze poetiche e storiche che non lasciano indifferenti i veri studiosi. Espressioni facciali non sempre convincenti. Doppiaggio italiano troppo aulico e ricercato, che stona con il contesto. Su "mid gen" inspiegabilmente frenato in Full HD. I "raid" vichinghi non sono così entusiasmanti.

Voto

9