The Witcher, Speciale sui 10 anni della serie

Apologia del più famoso cacciatore di mostri dei videogiochi

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Il 26 ottobre 2007, è una data molto particolare. Tra mostri sacri e titoli che avrebbero scritto pagine e pagine di storia del videogioco quali (tra i tanti) Crysis, Assassin’s Creed, Call of Duty: Modern Warfare, BioShock e The Elder Scrolls IV: Oblivion, ecco arrivare dalla Polonia The Witcher. Distribuito da Atari e sviluppato dagli sconosciuti CD Projekt RED di stanza a Varsavia in esclusiva Pc.

Si presentava come un videogioco di ruolo d’azione costruito sopra un irriconoscibile Aurora Engine. Quello del primo Neverwinter Nights, irriconoscibile perché portato a saturazione e avvalorato da filtri grafici di ultima generazione. Un motore di gioco duttile e ben rodato era diventato qualcosa di profondamente diverso e spettacolare a vedersi. Un milione di copie vendute dopo, due seguiti (il secondo solo per Pc e Xbox 360) e un terzo capitolo finalmente sdoganato alle masse popolari anche su PlayStation 4 ne consacrano il successo. The Witcher di CD Projekt RED è sulla bocca di tutti e ha imposto nuovi standard per i videogiochi di ruolo d’azione. L’evoluzione dei cosiddetti Western Role Playing Games (Wrpg) di stampo Fantasy passa per la Polonia. Con buona pace per Bethesda, BioWare e compagnia assortita.

DAL LIBRO AL MONITOR

Il videogioco The Witcher deve la sua esistenza alla saga letteraria del Witcher (in originale saga o wiedzminie) scritta da Andrzej Sapkowski. Etichettato, da alcuni, come “il Tolkien del ventunesimo secolo” questo brillante scrittore ha consegnato alla storia alcune delle più belle antologie letterarie e una delle più belle saghe di avventure che il genere Fantasy possa vantare. Il videogioco di The Witcher è stato capace, con il suo successo mediatico, di veicolare anche i racconti scritti. Da lettura di nicchia, quella dello Strigo Geralt è diventata una saga conosciuta ai più, quasi al pari di Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R. R. Martin. Saga per cui è esplosa la mania grazie alle serie televisive Game of Thrones e, per merito delle quali, i romanzi scritti sono arrivati nelle case di persone insospettabili. Non a caso la saga del Witcher è stata tradotta in dieci idiomi differenti: inglese, francese, spagnolo, tedesco, italiano, portoghese, lituano, ceco, russo e sloveno. Tutto a sostegno dell’esigenza di molti lettori, perché ormai in tanti chiedono (e hanno il piacere) di leggerlo.

L’ultimo libro della Saga del Witcher è stato pubblicato nel 1999 (ma è stato tradotto in italiano solo nel 2015). Lo studio CD Projekt RED, dunque, ha portato la propria fatica sui monitor di un milione di appassionati a otto anni di distanza. Quella della trilogia videoludica, però, non è una rivisitazione, una riedizione o una libera interpretazione di quanto è stato ideato dallo scrittore. Il videogioco di The Witcher (saggiamente a nostro avviso) lascia in santa pace il canone letterario. Si limita ad espanderne narrazione ed universo narrativo appellandosi al “non narrato”, cioè a quello che sarebbe potuto accadere dopo la fine dei libri.

Evitando accuratamente di rovinarvi la sorpresa della lettura o del gioco, qui basta semplicemente ammettere che il finale dei libri, al di là di ogni possibile e plausibile interpretazione, resta aperto. Sapkowski, in un’intervista di qualche anno fa, ha tenuto a precisare che – se avesse voluto – avrebbe potuto riprendere carta e penna e continuare la storia. Per questo motivo bisognerebbe prendere i videogiochi di The Witcher per quello che effettivamente sono: un monumentale omaggio al ciclo letterario. E una libera interpretazione di personaggi, luoghi e avvenimenti. Il racconto di quanto sarebbe potuto accadere in una delle tante ipotesi portate avanti dai fan dei romanzi. CD Projekt RED è uno dei fan più illustri delle scritture di Sapkowski, la trilogia di The Witcher è la sua versione del “dopo quello che è successo”.

IL PICCOLO GRANDE PASSO DI CD PROJEKT RED

Come abbiamo già scritto in apertura, il 26 ottobre di dieci anni fa arrivava il primo The Witcher. CD Projekt RED si è premurato di distribuirlo in maniera del tutto indipendente in Polonia, suo Paese d’origine. Mentre si è appellato all’esperienza di Atari per vendere la sua fatica nel resto del mondo.

La prima versione di The Witcher era il risultato di enormi sforzi di energia e denaro, portati avanti da un team di appassionati e cementato dalla passione per i romanzi di Sapkowski. Questa passione si univa a quella per i vecchi videogiochi di ruolo occidentali degli anni ‘90. Prendendo a modello i capolavori di Black Isle, BioWare, Obsidian e Piranha Bytes, gli sviluppatori di Varsavia hanno pensato bene di produrre un videogioco di ruolo che – in un certo senso – rendesse omaggio a tutti i suoi predecessori.

Pur con tutti gli sforzi del caso, la versione arrivata nelle case dei primi appassionati portava con sé la mancanza di esperienza. La pressione di un distributore (Atari) che non ha concesso a CD Projekt RED il giusto tempo per smussare gli angoli di un lavoro che necessitasse più opere di cesello era evidente. Chi è sopravvissuto (non senza lamentele) a crash ripetuti di gioco, tempi di caricamento estremamente lunghi, bug che impedivano la risoluzione delle missioni ed una generale poca varietà di modelli dei personaggi non giocanti e di animazioni, ricorda The Witcher come un gran bel gioco di ruolo, nonostante tutti i suoi difetti. Al primo posto, tra gli imputati, si trova sempre lui: il sistema di combattimento, fondamentale in un videogioco di ruolo d’azione.

Ancorato all’Aurora Engine, probabilmente e volontariamente concepito per ammiccare agli scontri a turni dei giochi di ruolo cartacei, reso singolare dalla necessità di cliccare con il giusto tempismo per concatenare i colpi, il sistema di combattimento di The Witcher non ha entusiasmato la maggioranza dei giocatori. The Witcher entusiasmava per l’atmosfera, l’ambientazione, lo sfondo narrativo, i personaggi estremamente caratterizzati e i temi maturi legati al razzismo e all’oscurantismo religioso. The Witcher colpiva al cuore oppure allo stomaco. Per via del gioco delle conseguenze (già portato avanti da BioWare e da Lionhead con il suo Fable) decisamente su un livello diverso, né troppo distante né troppo vicino all’ardua scelta. La giusta via di mezzo perché il giocatore se ne dimenticasse, per poi arrivare alla cruda verità del prezzo della sua condotta. Non esiste fare del bene oppure fare del male, in The Witcher, ma solo decisioni e conseguenze. E’ la pietra angolare di un nuovo modo di intendere la fatidica “scelta”, il fatidico “bivio narrativo”. Qualunque cosa si scelga di fare, qualcuno esulterà e un altro si dispererà.

Ad un anno di distanza dalla pubblicazione di The Witcher, ecco arrivare The Witcher: Enhanced Edition. E’ un’edizione potenziata (come dice il titolo stesso), con tutti gli accorgimenti adottati dagli sviluppatori per avvicinare il gioco alla versione che avevano sempre sognato di pubblicare fin da subito. Cosa cambia in termini di gioco? Nulla, ma l’ottimizzazione è notevole. La resa del doppiaggio è stata migliorata (non quella in italiano), i modelli dei personaggi secondari sono un po’ più vari e le animazioni sono state rivedute, corrette, aggiunte, migliorate. A fare il piccolo botto è stato il metodo di vendita di questa edizione: aggiornamento gratuito per chi avesse già il gioco originale. Edizione potenziata, venduta al posto di quella standard, per tutti i nuovi arrivati.

ESSERE UN WITCHER

Ma di cosa parla The Witcher? E perché è tanto singolare quanto apprezzato? I Witcher sono una casta di cacciatori di mostri, stregoni, alchimisti. Sono addestrati ad una scherma non convenzionale e potenziati a livello genetico con pericolosissime misture alchemiche. Sopravvivere all’assunzione di queste droghe letali ai più, garantisce rigenerazione fisica, immunità a malattie, forza fisica e resistenza sovrumane. Ma anche sempiterna sterilità. I Witcher, infatti, riescono a sopravvivere di generazione in generazione grazie ai tanti orfani che vengono abbandonati a se stessi. I più forti, fisicamente e mentalmente, vengono addestrati e preparati alla fatidica prova dell’assunzione delle erbe.

Geralt di Rivia è uno dei Witcher più conosciuti, temuti e rispettati del suo tempo. E’ alter-ego del giocatore e con l’espediente narrativo della perdita della memoria possiamo dargli un minimo di caratterizzazione. Lo scopo di Geralt è indagare sul perché uno stregone del profondo sud ed un potente alchimista vogliono estinguere i Witcher e rubarne i segreti dell’alchimia. Le imprese di Geralt diventano sempre più grandi, finché non entra nelle grazie della corte del piccolo regno di Temeria sventando un attentato.

Si è molto lontani da cavalieri cortesi, cavalieri di ventura, paladini, maghi, hobbit, nani guerrieri ed elfi superbi. Il mondo di gioco ruota intorno a discriminazione, razzismo, prevaricazione e opportunismo. La magia non manca ma è quasi esclusivo appannaggio di streghe, maghi e (in minima parte) dei Witcher. Gli elfi sono in via di estinzione, spesso violenti terroristi, ghettizzati nelle città. I nani sono un po’ più rispettati per via delle loro spiccate doti di banchieri. Gli uomini spadroneggiano in lungo e in largo, sono la razza dominante e lo fanno pesare proprio a tutti. Ci sono persone che provano a fare del bene ma, come spesso accade anche nella vita reale, sono quelle che se la passano peggio o che hanno la peggio in determinati contesti. E’ anche questo, a rendere The Witcher tanto differente dai concorrenti e tanto affascinante. L’assoluta disinvoltura con cui tratta temi ed argomenti spinosi o delicati.

ASSASSINI DI RE E BUONI VECCHI GIOCHI

Dopo fasti di The Witcher e la lenta ma inesorabile crescita di pubblico in quel (ancora per molti) misterioso mercato del gaming su Pc, CD Projekt RED adotta un metodo di auto-finanziamento. Ancora oggi, resta unico esempio nel suo genere. Il team di Varsavia, contestualmente ai lavori su The Witcher 2, per non chiedere soldi a produttori troppo esigenti, decide di realizzare Gog.com, Good Old Games. un sito di vendita digitale di videogiochi vecchi.
Vecchie glorie del passato, vendute per pochi euro/dollari, un po’ come faceva (e fa) Steam. Ma con una piccola differenza: non c’è DRM, nessuna protezione anti-copia o anti-pirateria. Se hai un gioco e vuoi che il tuo amico possa giocarci, puoi “digitalmente prestarlo” senza passare guai. Senza combattere con strane procedure di autenticazione o protezione. Vecchi e bei giochi prima, sviluppatori indipendenti subito dopo e ultimamente anche produzioni di un certo rilievo, trovano spazio su Gog. Non stiamo parlando di un potente concorrente di Steam, questo è certo, ma di una validissima alternativa al negozio digitale di Valve Inc. Forse l’alternativa migliore.

Realizzare Gog è stato il primo passo di CD Projekt RED per affermarsi come realtà anche imprenditoriale assolutamente indipendente, nella scena mondiale di sviluppo di videogiochi. CD Projekt RED non chiedeva a nessuno un centesimo per realizzare i propri giochi, quindi non aveva nessuna fretta di chiudere in verde il bilancio annuale degli azionisti. Si auto-finanzia vendendo i propri giochi e vendendone di terze parti sul proprio piccolo, grande, mercato. L’unica cosa che fa, grazie a distributori terzi, è quella di fare arrivare nei negozi al dettaglio la versione fisica dei propri giochi. E’ questo il motivo per cui vediamo anche i loghi di Bandai Namco, Atari e Warner Bros troneggiare all’avvio dei giochi.

Quattro, intensi, anni di lavoro, dividono il primo The Witcher da The Witcher 2: Assassins of Kings. La prima cosa che lasciò tutti a bocca aperta è stata la presentazione della versione “Alpha” del gioco. Era così bella e ce n’era abbastanza da far dire a chiunque la vedesse “vorrei che tutti i giochi fossero delle alpha”. Il 19 maggio 2011, The Witcher 2 arriva in Italia, in esclusiva per Pc via Steam oppure su Gog. Ovviamente non mancavano le versioni fisiche del gioco. E impressionavano un po’ tutti quanti per l’eccellente packaging e lo sconcertante prezzo basso: anche dieci euro in meno rispetto agli standard. Ci scuserete se accenniamo alle mosse di marketing dello studio di Varsavia. Ma lo riteniamo necessario per far comprendere il fenomeno che si è costruito intorno, in appena dieci anni di onorata carriera. Quattro lunghi anni per attendere un gioco semplicemente splendido da ogni punto di vista (e non esente da difetti, come ogni videogioco esistente al mondo, da sempre). Una qualità elevatissima venduta a prezzo contenuto. Ce n’era abbastanza da mettere, ancora una volta, tutti d’accordo.

Un anno dopo, aiutati dall’architettura Pc delle Xbox 360, desiderosi di cimentarsi anche con il mercato console per sondare il terreno, ecco arrivare The Witcher 2: Assassins of Kings Enhanced Edition. Questa volta, più che “aggiustare oltre che potenziare”, quelli di CD Projekt RED si sono ritrovati a compiere un autentico miracolo tecnico su Xbox 360. Questa eseguiva il gioco egregiamente nonostante i sei anni sul groppone e gli ormai evidenti limiti hardware. Su Pc, oltre a potenziare tutto quello che si potesse potenziare, si ripete la “strana usanza” di CD Projekt RED di regalare l’upgrade alla migliore versione a tutti gli utenti della prima ora. Mentre, da quel momento in poi, lo standard di riferimento diventava la versione migliore a disposizione.

The Witcher 2: Assassins of Kings non segue la scia tracciata dal suo predecessore. Ne tiene i punti di forza (trama, ambientazione, personaggi, narrazione) ma rimescola le carte in tavola. Si riassetta per essere un gioco meno “anni ‘90” e più al passo con i tempi. Telecamera alle spalle del protagonista, niente gestione dello zoom (prima si poteva giocare con visuale tipo Neverwinter Nights o Baldur’s Gate). Fendenti veloci e leggeri, lenti e pesanti, parate e schivate soppiantavano in tutto e per tutto il sistema semi-automatico dell’Aurora Engine. Era il momento di scatenare tutta la potenza del RED Engine, il motore grafico creato da CD Projekt RED per perseguire i propri scopi senza dover scendere a compromessi. Ed in effetti il risultato è un videogioco che sembra essere l’esatta volontà di un team ben coordinato che non ha lasciato praticamente nulla al caso.

The Witcher 2 non riprende la narrazione dove era stata interrotta dal predecessore. Così che tutti possano iniziare da qui senza doversi per forza “sacrificare” e giocare il primo capitolo. Tuttavia vengono subito presentati i punti fondamentali dell’epilogo di ciò che venne prima: Geralt sta ancora indagando sul perché ci sia stato un attentato a corte. Inoltre è ancora nelle grazie di re Foltest, sovrano di Temeria. Viene incastrato, subito, nel prologo del gioco e spende molto del suo tempo, all’inizio, per confutare le ingiuste accuse. Non vogliamo rivelare di più, restiamo volutamente sul vago per permettere a tutti i curiosi di scoprire personalmente cosa li attende.

LA CACCIA SELVAGGIA

Il 19 maggio 2015, dopo una snervante attesa e almeno due clamorosi rinvii della data d’uscita, The Witcher 3: Wild Hunt arriva sui computer. Arriva anche su PlayStation 4 e Xbox One di tutto il mondo nello stesso giorno, senza fare favoritismi a nessuno.

A tre anni di distanza dalla Enhanced Edition di The Witcher 2, ma a quattro anni di distanza dal suo esordio su Pc, Geralt di Rivia arriva a mettere (questa volta davvero) tutti d’accordo. E’ uno dei più bei giochi dell’anno. E non solo. Per moltissimi, infatti, è semplicemente il migliore gioco del suo anno. Per altri è il miglior gioco di sempre oppure il migliore degli ultimi quindici anni. L’aggettivo migliore, tuttavia, non si fa mai mancare.

Forte della terza versione del RED Engine (la seconda è quella modificata e adattata alle esigenze della versione Xbox 360 di The Witcher 2), The Witcher 3: Wild Hunt si fa trovare ai nastri di partenza con una solidità tecnica complessiva che ha del prodigioso. I bug non mancano, il gioco è immenso, le variabili e il numero di personaggi che lo popolano sono a doppia o a tripla cifra. Possiamo tranquillamente parlare di “kolossal” dei videogiochi di ruolo. E fin dal suo primo giorno di pubblicazione ha scritto pagine e pagine di storia (nonché di lezioni di stile e di marketing per detrattori e concorrenti).

Quattro milioni di copie vendute in due settimane che diventano sei milioni in sei settimane di pubblicazione. Per raggiungere il traguardo delle 10 milioni di copie vendute il 18 luglio 2016. Un trionfo di critica e di vendite, per un videogioco di ruolo d’azione che fino a quello storico 19 maggio 2015 era sulla bocca di pochissimi addetti ai lavori. E ancor meno estimatori della serie e del modo di lavorare di CD Projekt RED. Da quel giorno, però, è cambiato tutto: CD Projekt RED è emersa dal marasma generale e dal caos di produzioni indipendenti o quasi. Con i fatti – ancor prima che con le parole – ha dimostrato che lasciare lavorare il team di sviluppo con i propri tempi e con libertà di espressione e creazione, arrivando a risultati come The Witcher 3: Wild Hunt.

Vincitore di oltre 800 riconoscimenti, mattatore totale dei Golden Joystick Awards 2015. Ma anche oggetto di critiche non del tutto infondate ed impietose, che mettevano a confronto lo storico e smascellante trailer “Sword of Destiny” con l’effettiva qualità finale del gioco. The Witcher 3, immancabilmente e data la sua natura multipiattaforma, a causa anche della sua pubblicazione simultanea su tutte le piattaforme, è stato intenzionalmente “depotenziato” in molti aspetti. Questo, perché l’hardware di PlayStation 4 e Xbox One non reggono alcun confronto diretto con computer di fascia media e alta, pertanto le versioni console sarebbero risultate lontane dagli standard qualitativi (e sbalorditivi) presentati su Pc.

Al bando ogni velleità grafica e polemica: The Witcher 3, come chi lo ha preceduto, data la natura ed il tipo di gioco, non ha bisogno di esagerati virtuosismi grafici per essere apprezzato. Il risultato di tanta disparità sarebbe stato analogo a quello ottenuto da Crysis dieci anni or sono. Il gioco di Crytek era inarrivabile tecnicamente. Anche, tristemente, appannaggio di pochissimi per anni ed anni a venire. Il bello dell’esperienza offerta dall’ultima fatica di CD Projekt RED è che risulta perfettamente godibile su ogni piattaforma. Questa è la chiave di volta per il successo mondiale di Wild Hunt e degli sviluppatori di stanza a Varsavia.

COME SI EVOLVE UN GIOCO “PERFETTO”

Gli sviluppatori sono partiti delle eccellenti basi di The Witcher 2. Hanno preso fondamenta di una mod amatoriale, che ha migliorato sensibilmente il sistema di combattimento del secondo capitolo. Hanno dato fondo a tutta la potenza hardware a loro disposizione. Poi hanno riadattato il tutto alla poca potenza della generazione corrente. CD Projekt RED ha messo sul piatto enormi mappe liberamente esplorabili, un sistema di combattimento all’altezza delle aspettative (aspettarsene uno simile a Devil May Cry o Ninja Gaiden è davvero pretenzioso e ridicolo). La narrazione è assolutamente non lineare e al giocatore si concede libertà quasi totale di iniziativa. Personaggi dalla caratterizzazione magistrale, trame e sotto-trame memorabili, degne di giochi o espansioni a se stanti. Ambientazioni – eufemisticamente – bellissime completano un quadro che è da subito diventato metro di paragone per tutte le pubblicazioni future. Non è esente da difetti, ma noi stentiamo a trovarne uno che non sia riconducibile a meri gusti soggettivi. Parlare di bug che mandano all’aria l’esperienza di gioco sarebbe come parlare di Terra piatta. Non ci sono difetti di programmazione così gravi. Nonostante tutto, a due anni di distanza, niente e nessuno sembra aver avuto l’ardire anche solo di insidiare da lontano lo standard di qualità che è stato raggiunto da The Witcher 3: Wild Hunt. Osiamo affermare che dovremo attendere la prossima generazione di console (e un letargo o un “suicidio commerciale” da parte degli sviluppatori del gioco) prima di vedere qualcosa dalla caratura uguale o superiore.

Contrariamente alle installazioni precedenti, The Witcher 3: Wild Hunt è il primo gioco di CD Projekt RED ad aver ricevuto sedici DLC piccoli e gratuiti e ben due, corpose, espansioni al gioco di base. Come a voler ricordare al pubblico quanto siano innamorati delle produzioni anni ‘90, gli sviluppatori si sono prodigati in Heart of Stones, prima e Blood and Wine dopo. Con quest’ultima espansione, a furor di popolo, pare che gli sviluppatori si siano superati. Perché è stata incensata da ogni parte, in ogni redazione e da ogni giocatore che l’abbia portata a termine. Pensate: è la prima espansione nella storia dei videogiochi, ad ottenere dalla critica e dal pubblico una valutazione media superiore anche al gioco di base. Non vogliamo parlare dei contenuti delle espansioni perché non riteniamo adatta questa sede, ma quello che riteniamo opportuno è invitare tutti i lettori a non sottovalutarle: non sono meri orpelli, non sono piccole aggiunte, non sono pretesti per allungare il brodo. Sono davvero delle espansioni, cioè dei prodotti atti a rendere più grande, monumentale, granitico un’opera che è già di base grandiosa.

The Witcher 3: Wild Hunt, nel novero dei videogiochi di ruolo occidentali, d’azione e single-player, è semplicemente insuperato. Difficilmente superabile.

DA TRILOGIA A TETRALOGIA

Stando alle dichiarazioni ufficiali, a quelle degli addetti ai lavori, a quello che dissero i doppiatori che hanno prestato le voci a The Witcher 3 e a tutte le voci di corridoio che si inseguono da quando l’ultima fatica di CD Projekt RED ha conquistato i cuori di pubblico e critica, The Witcher 4 non sarà di certo un’utopia. E’ altrettanto certo che, a detta degli sviluppatori, non sarà coinvolto direttamente Geralt di Rivia. Perché hanno voluto realizzare, intorno al personaggio, una trilogia fatta e finita.

Quel che sappiamo, è che il progetto originale di The Witcher (il primo) prevedeva un’impostazione molto simile a quella della serie Ultima. Con ammiccamenti al fatto che il giocatore fosse un semplice e sconosciuto cacciatore di mostri alle prime armi. Geralt sarebbe apparso come uno dei tanti maestri di spada che popolavano Kaer Morhen: la rocca in cui vivono i Witcher della scuola del Lupo, a cui appartiene Geralt.

The Witcher 4, dunque, potrebbe ripartire da lì. Da una partenza molto più neutra e da un personaggio liberamente personalizzabile. Altre teorie vogliono The Witcher 4 che ruota intorno al personaggio di Ciri, con la conservazione del nucleo dell’offerta sulla falsariga della trilogia originale. Ovvio lo spostamento dell’attenzione, focalizzata sulla ragazza dai capelli d’argento che abbiamo avuto modo di conoscere nell’ultimo videogioco.

Altri indizi ancora, fanno pensare che gli sviluppatori inseriranno degli indizi o degli “easter egg” in Cyberpunk 2077. Questo il nome del prossimo gioco degli sviluppatori polacchi, che arriverà presumibilmente (ma anche qui non vi è certezza neppure nella presunzione, ndr) del 2019 su Pc e su console di nuova generazione. Queste sono nostre congetture, dettate dal fatto che – mediamente – gli sviluppatori impiegano non meno di quattro anni per confezionare un videogioco che rispetti i loro standard di qualità. Aggiungiamo anche che, soprattutto nel caso di successo mediatico, di pubblico e di critica, molti aspetti di Cyberpunk 2077 potrebbero essere mantenuti, corretti o in parte adattati alle esigenze di un plausibile The Witcher 4. Tra le tante caratteristiche che si vocifera avere il titolo futuristico in lavorazione, una pressoché totale personalizzazione del proprio alter-ego ed una non del tutto chiarissima modalità multigiocatore online.

LE NEBBIE DEL FUTURO

Tutto, insomma, sembra incerto, fumoso, nebbioso nel futuro di The Witcher. Quel che speriamo noi è che gli sviluppatori si concentrino su prodotti sempre nuovi e originali. Non ci sembrerebbe affatto male che – analogamente a BioWare che uscì dal cilindro Mass Effect – CD Projekt RED realizzasse, per la prima volta nella sua storia, un videogioco o un’intera saga al 100% originale. Senza appoggiarsi a licenze letterarie Fantasy o licenze di giochi di ruolo cartacei. Come nel caso del già citato Cyberpunk. L’ambientazione? Che sia Fantasy, Fantascienza, Cyberpunk o storicamente attendibile, l’importante è che sia ben realizzata, coerente, coesa, come solo CD Projekt RED ha dimostrato, in dieci anni, di saper fare.

Per adesso ci godiamo The Witcher 3: Wild Hunt, recuperiamo a prezzi davvero popolari (pericolosamente vicini a quelli di uno snack o un caffè) il primo ed il secondo episodio, Hearts of Stone e Blood and Wine. Con un orecchio stiamo a sentire cosa bolle in pentola per Cyberpunk 2077 ma soprattutto continuiamo a divertirci consapevoli che il nostro intrattenimento dipenda da giocatori come noi, ancor prima che sviluppatori e amministratori aziendali. E poiché sono dei giocatori, a lavorare ai futuri progetti, possiamo dormire relativamente tranquilli: se mai un giorno arrivasse The Witcher 4, quel giorno avremo tra le mani un gioco fatto con passione, da appassionati e per appassionati. Come The Witcher 3: Wild Hunt.

Tanti auguri, Geralt di Rivia. Tanti auguri, CD Projekt RED.