Arcadian Days, l’arte di perdersi senza avere obiettivi, anteprima

Niente azione e combattimenti, ma un’esperienza esplorativa intima, lenta e profondamente personale

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Nel panorama indie (e in generale videoludico) contemporaneo, sempre più affollato di opere che rincorrono meccaniche ibride e soluzioni “da vetrina”, Arcadian Days sceglie una strada diversa: quella della sottrazione. Dietro allo sviluppo troviamo Immersiv Games, una piccola software house che sembra avere sede a Londra, fondata e guidata da un singolo sviluppatore di origini rumene, Călin Butnaru.

Quest’ultimo, che ha tratto ispirazione dalla sua infanzia e in generale dalle tradizioni rurali rumene, ha portato e sta portando avanti il suo progetto in solitaria, supportato giusto da qualche freelancer per alcuni asset. Il titolo si presenta come un’esperienza esplorativa in prima persona che rinuncia deliberatamente a combattimento, obiettivi strutturati e progressioni tradizionali, per concentrarsi su un’idea di gioco più intima, contemplativa e personale.

Non è un’opera che chiede attenzione: bensì la suggerisce. Andiamo a capirne di più in questa anteprima di Arcadian Days. Ricordiamo che il gioco, pubblicato sempre da Immersiv Games, è disponibile solo su Pc, via Steam ed Epic Games Store. Buona lettura.

UN MONDO CHE NON TI ASPETTA, MA VIVE

Fin dai primi istanti Arcadian Days non sembra interessato a “portarci da qualche parte”. Non ci sono mappe, indicatori, obiettivi imposti o missioni che si sbloccano una dopo l’altra. La protagonista, Miela, vive i giorni della sua infanzia esplorando un mondo ispirato ai paesaggi e alle tradizioni dell’Europa orientale, in particolare rumena, con un registro narrativo che si costruisce attraverso la curiosità e l’interazione personale. Saremo dunque invitati a muoverci senza una meta precisa: seguiremo il nostro ritmo, osserveremo ambienti ricchi di dettagli, parleremo con membri della famiglia o semplicemente curioseremo tra i campi e gli angoli del mondo circostante.

Questa scelta di design è tanto audace quanto divisiva: chi cerca trama lineare o progressione strutturata potrebbe sentirsi spaesato, mentre chi ama l’esplorazione pura vi troverà un raro spazio di contemplazione. Il mondo esiste indipendentemente dalla nostra presenza. Non sembra costruito per essere “risolto”, ma per essere abitato. Questa scelta progettuale avvicina Arcadian Days a esperienze come Firewatch, Dear Esther o Eastshade, ma con una differenza sostanziale. Qui la narrazione non è né guidata né simbolica in senso stretto. È emergente, quotidiana, fatta di micro-interazioni, osservazioni e rapporti umani che si sviluppano (o si dissolvono) senza che il gioco senta il bisogno di segnalarlo esplicitamente.

NARRAZIONE PER SOTTRAZIONE

Come abbiamo detto pocanzi, non esistono quest nel senso classico del termine. Non c’è un diario che si riempie, né una lista di attività da spuntare. Eppure, qualcosa accade costantemente. Potremo interagire con membri della famiglia, figure secondarie e persino con il cane Tola, in una rete di relazioni che si costruisce attraverso il tempo e la presenza, non attraverso obiettivi dichiarati.

Parlare con qualcuno più spesso, ignorarlo, tornare in un luogo o evitarlo: ciascuna scelta contribuisce a modellare l’esperienza, anche se il gioco non ne mostra mai le conseguenze in modo esplicito. È un design che richiede fiducia. E non tutti i giocatori saranno disposti a concederla.

L’esplorazione è il vero fulcro di Arcadian Days. Non perché il mondo sia vasto in senso quantitativo, ma perché è denso di atmosfera. Gli ambienti raccontano storie silenziose: oggetti lasciati in giro, spazi abitati, tracce di routine quotidiane. L’assenza di combattimento non è una mancanza, ma una dichiarazione d’intenti: nulla può interrompere il ritmo lento dell’esperienza.

La prima persona accentua il senso di immersione, mentre l’interfaccia minimale riduce ogni elemento superfluo. Il risultato è un flusso di gioco che invita all’osservazione più che all’azione, e alla curiosità più che alla prestazione. In questo senso, il titolo non “premia” il giocatore nel modo tradizionale. Premia chi è disposto a fermarsi.

ATMOSFERA E IDENTITÀ

Dal punto di vista artistico, il titolo di Immersiv Games punta su una rappresentazione sobria ma coerente. Non cerca l’iperrealismo né lo stile pittorico esasperato: sceglie invece una resa funzionale all’atmosfera, credibile, spesso malinconica.

Le ispirazioni culturali dell’Europa orientale non sono mai dichiarate apertamente, anche se lo sviluppatore si è ispirato ad ambientazioni reali e ha persino digitalizzato oggetti provenienti da archivi e musei, in particolari polacchi e rumeni.

In ogni caso tali ispirazioni permeano l’intera esperienza, conferendole un’identità riconoscibile e poco adoperata nel medium. Anche il comparto sonoro segue questa filosofia: pochi brani musicali, molti suoni ambientali, silenzi che non vengono riempiti per paura del vuoto. È una scelta rischiosa, ma coerente con l’anima del progetto. È importante chiarirlo: Arcadian Days non è un gioco per tutti.

La sua natura volutamente priva di obiettivi, la lentezza deliberata e l’assenza di feedback costanti possono risultare frustranti per chi cerca una struttura più tradizionale o un senso di progressione tangibile. Allo stesso tempo, è proprio questa coerenza a renderlo interessante. Immersiv Games ha realizzato un’opera che non cerca compromessi, consapevole del proprio pubblico ma anche delle proprie limitazioni.

PROMETTENTE

In questa fase iniziale, Arcadian Days appare come un progetto onesto, intimista e profondamente personale. Non rivoluziona il genere dell’esplorazione narrativa, ma lo interpreta con una sensibilità rara, puntando tutto sull’esperienza soggettiva del giocatore. Resta da capire quanto questa filosofia riesca a sostenere l’esperienza nel lungo periodo, e se la narrazione emergente riesca davvero a lasciare un segno duraturo. Ma una cosa è certa: l’opera di Immersiv Games non chiede di essere completata, bensì vissuta. E in un’industria ossessionata dalla performance, non è poco.