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L.A. Noire, Recensione Switch

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L.A. Noire di Team Bondi e Rockstar Games, è stato, nel 2011 un fenomeno che ha messo in discussione le capacità tecniche di tutti gli studi di sviluppo fino a quel momento operativi e ha gettato un velo di mediocrità su tutte le produzioni a lui vicine, in termini di data di pubblicazione, a causa di uno standard delle animazioni talmente elevato, da fare impallidire ogni concorrente.

Avventura con poca azione, tante indagini ed interrogatori, in terza persona e ambientato in una Los Angeles degli anni ‘40 riprodotta in maniera certosina, la prima ed ultima fatica di Team Bondi innesta un aspetto tecnico (animazioni facciali) nell’impalcatura del gameplay (interrogatori) con una maestria tutta pionieristica, apprezzata da tanti ma non da tutti.

A distanza di 6 anni, torniamo a parlare di L. A. Noire scrivendo della versione Nintendo Switch che è affiancata da quelle PS4 ed Xbox One. Buona lettura.

TELEFILM FATTO VIDEOGIOCO

Scomodando attori come Aaron Staton (a quei tempi in voga grazie al serial Mad Men), Michael McGrady (Beyond, American Crime Story) e tanti altri professionisti della recitazione, Team Bondi li ha messi in scena grazie ad un’avveniristica tecnologia di animazioni facciali che li rendono quasi umani durante ogni fase di gioco.

L.A. Noire viene mosso, nella sua storia, da episodi misti a flashback, che narrano di un ragazzo tutto d’un pezzo, Cole Phelps, reduce della seconda Guerra Mondiale, che vuole rendere la sua città un posto migliore e lo fa indossando la divisa da poliziotto. Basta poco, però, per farsi notare ai piani alti, perché Phelps ha l’innato talento di gettare luce dove gli altri vedono solo ombra: è bravo, in parole povere, a risolvere casi apparentemente già risolti oppure irrisolvibili. Al giocatore è affidato il compito di condurre il protagonista verso la fine di ciascun episodio, ciascuna indagine e, a lungo termine, alla fine del gioco.

PRIMA IL DOVERE E POI IL PIACERE

LA Noire Switch

Come se il videogioco fosse cucito addosso al personaggio di Cole Phelps, L.A. Noire mette da subito, il giocatore, di fronte ad una realtà agrodolce. Da un lato abbiamo a disposizione una gigantesca città tutta da conoscere e da esplorare. Dall’altro abbiamo del lavoro da fare che, in teoria, ci fa desistere dallo scorrazzare in lungo e in largo. E’ un po’ quello che capitava nel primo Mafia e di rado nel secondo: troppo occupati a seguire la trama, veniva davvero arduo godersi l’attore non protagonista di certi giochi: la città. La differenza è che su Mafia potevamo attivare la modalità “fatti un giro”, qui invece si va subito al sodo e l’unica forzatura che possiamo fare è ignorare le richieste di intervento e fare un largo giro per arrivare a destinazione.

Giunti sul luogo del misfatto, le indagini seguono quasi sempre lo stesso iter: esame della scena del crimine, interrogatorio testimoni e sospettati, verdetto finale. Il gioco ci chiede di fare questo dall’inizio alla fine, senza troppe divagazioni o variazioni. Di tanto in tanto, se siamo noi al volante, arriva una chiamata dalla centrale e dobbiamo correre per intercettare un rapinatore o un omicida in fuga e poco altro.

Gli interrogatori, di L.A. Noire, sono la parte più bella del gioco. Certo: noi italiani che non sappiamo cogliere l’inglese o l’americano senza sottotitoli perdiamo parecchio della bellezza delle animazioni facciali, ma resta il fatto che unire tutte le tessere del puzzle, guardare in faccia il sospettato e pressarlo, oppure accusarlo, per fare emergere la verità, ripaga quasi interamente il prezzo del biglietto. La casistica ordita per noi dagli scrittori di Team Bondi è ben assortita, ben scritta e mai banale e questo – in un gioco concentrato sulle indagini – non è affatto poco.

ANCHE L’OCCHIO VUOLE LA SUA PARTE

LA-Noire_screenshot

L.A. Noire gode delle tecnologie di Rockstar, per quello che riguarda l’aspetto tecnico. Aspettiamoci, dunque, una sorta di fratellastro di GTA 5, ben dettagliato e animato in ogni sua parte, ancor più ripulito e avvalorato da migliori effetti grafici per merito della ripubblicazione su hardware migliore di PS3 e Xbox 360.

Il sistema di controllo su Nintendo Switch è del tutto in linea con quello delle sorelle maggiori, con il valore aggiunto di poter sfruttare il sensore di movimento del joy con tutte quelle volte che possiamo: quando si prende in mano un oggetto utile all’indagine lo si esamina in ogni sua parte.

E’ vero: la città è grande e si espone ad un effetto pop-up degli oggetti in lontananza che ci ricorda da quale generazione arriva L.A. Noire; essendo un videogioco di indagini e non uno sulla malavita organizzata non si espone a ritmi frenetici, sparatorie a tutto spiano e inseguimenti motorizzati al cardiopalma. Sicuramente, in modalità portatile, qualcuno con ridotte capacità di vista potrebbe non cogliere un indizio (ma per fortuna c’è un suono che ci avverte che qualcosa degno di attenzione è nei pressi) ma in definitiva, è L.A. Noire: un thriller che spolvera l’epoca degli anni ‘40 e – come dice lo stesso titolo – porta il genere letterario (e cinematografico) “noir” sui nostri schermi con uno stile che non passa inosservato.

COMMENTO FINALE

L.A. Noire è un gioco di avventura, indagini e interrogatori, in terza persona e ambientato negli anni ‘40 a Los Angeles. E’ lo stesso gioco pubblicato da RockStar Games e sviluppato da Team Bondi nel 2011, per PlayStation 3, Xbox 360 e Pc Windows. Dal 14 novembre scorso si può giocare anche in versione Nintendo Switch, PlayStation 4 e Xbox One.

Il gioco consiste nel mettere in serie, come se fossero episodi di un telefilm, tante indagini che, come pezzi di un intricato puzzle, andranno poi messi insieme a formare il quadro completo. Ogni indagine procede dall’esame della scena del crimine, passa all’interrogatorio dei testimoni e degli accusati, finisce con il verdetto finale.

Graficamente parlando assistiamo ad un precursore di quello che sarebbe stato GTA 5 tre anni più tardi: un’enorme metropoli degli anni ‘40, con traffico, pedoni, macchine e abiti d’epoca. Nulla viene lasciato al caso e anche le animazioni fanno il loro dovere. Anche la fisica applicata alle automobili è convincente, così come lo sono gli effetti sonori e la colonna sonora originale. La marcia in più di L.A. Noire, però, arriva dalle animazioni facciali: uno sforzo tecnico attuato da Team Bondi, che ha del prodigioso ancora oggi, seppure le odierne tecnologie siano più convincenti e restituiscano, ormai, gli stessi risultati senza dare l’impressione (occasionale) di essere posticce. E’ il primo, forse ultimo, caso in cui un aspetto grafico viene fuso ad un aspetto di vitale importanza del gameplay. Infatti è dalla nostra capacità di deduzione dell’espressione facciale, che dobbiamo intuire se un interrogato stia mentendo o sia troppo vago e su questa base dobbiamo accusarlo oppure pressarlo a parlare di più.

La versione Nintendo Switch ha, dal canto suo, l’ulteriore vantaggio di portare con sé le indagini di Cole Phelps, senza che queste ne risentano eccessivamente. La grafica scorre senza indugi, è molto pulita e – come tanti prima di lui – l’unico piccolo neo del giocare su schermo piccolo è la difficoltà (per i più attempati o miopi) di mettere a fuoco i dettagli più piccoli. Fortunatamente, tra indicatori visivi più grandi e – soprattutto – sonori si ha vita facile.

Pregi

Animazioni facciali impressionanti a distanza di anni. Non perde un solo pixel di fascino in modalità portatile. Chi non l’ha giocato prima, non dovrebbe lasciarsi scappare uno dei più bei thriller noir anni ‘40.

Difetti

Effetti pop-up evidenti. Ritmi lenti e compassati, uniti a lunghi dialoghi. Non proprio un gioco free-roaming o di azione. In modalità portatile difficile scovare a vista gli indizi.

Voto

8

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4 commenti su “L.A. Noire, Recensione Switch”

  1. Lo ricordo come un buon gioco, sicuramente impattato dalla cattiva gestione di Team Bondi da parte di McNamara. Se Rockstar avesse avuto le mani in pasta sin dall’inizio, forse quella straordinaria riproduzione della vecchia Los Angeles sarebbe stata sfruttata più a fondo.

    Il fatto è che se anche Rockstar volesse tornare in quel di L.A. Noire e creare qualcosa di nuovo, probabilmente non resisterebbe alla tentazione di metterci dentro influenze poco calzanti, come è successo con Max Payne 3. Sarei comunque curioso di vedere.

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