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Inner Chains, Recensione Pc

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Approdato su Steam e Gog.com il 18 maggio scorso dopo un periodo in accesso anticipato, Inner Chains è il primo risultato dello sforzo congiunto di alcuni veterani del settore (sul loro sito citano espressamente People Can Fly, CD Projekt RED, Techland ed Epic Games) che lavorarono su The Witcher 3, Gears of War, Dying Light e Bullet Storm e poi si ritrovarono sotto bandiera Telepaths Tree dell’artista visionaro Tomasz Strzalkowski. Le premesse per un risultato interessante c’erano tutte, gli ingredienti per “prestare” un pezzo di arte al medium del videogioco, pure.

Figlio anch’esso della raccolta popolare, questo particolare fps ha trovato consensi su Kickstarter nel marzo dello scorso anno quando raccolse quasi 20.000 euro grazie all’interesse di oltre 900 persone, il lavoro degli sviluppatori polacchi è stato portato in digitale da IMNG.PRO, una etichetta indipendente in crescita, ed in versione fisica in Italia da Adventure Productions che ha fatto uscire questo fps horror ed atipico nei negozi lo scorso 6 giugno.

UN MONDO OSCURO E PIENO DI BIOMACCHINE

Inner Chains narra che in un futuro lontano, l’umanità cadrà vittima della sua stessa tecnologia e andrà verso la rovina. Natura e macchine trovano un punto d’incontro e danno vita alle biomacchine, mentre gli uomini, ormai impotenti ed in via d’estinzione, stanno a guardare. Il protagonista del gioco di Telepaths Tree è uno dei più umili esseri umani rimasti in vita: suddivisi in caste e ceti sociali, come nell’antichità, ci sono schiavi, padroni e uomini di culto.
Il culto di Inner Chains è strano, crudele, oscuro e decisamente poco votato alla vita. Noi impersoniamo uno schiavo che prima si ribella alle catene (anche metaforiche) della schiavitù fisica ma con il passare del tempo (e avvisati dal bellissimo cortometraggio in computer grafica) bisogna fare i conti con una schiavitù tutta interiore, quelle catene dell’anima che danno proprio il nome a questo gioco: Inner Chains.

Prepariamoci dunque ad avanzare passi in un mondo lugubre, praticamente mai illuminato dal sole, pieno di esseri metà animali e metà macchine, alcuni ostili ed altri neutrali. I primi minuti di Inner Chains trascorrono più a camminare, esplorare, guardare intorno, provare a leggere, decifrare, interagire, sempre da una prospettiva in prima persona. Dalle prime immagini di gioco emerge la qualità del dettaglio, la ricercatezza, la direzione artistica del leader dello studio di sviluppo, artista lui stesso che vuole dar vita alle visioni della sua mente tramite il videogioco.

Luci di torce e falò si incrociano e si amalgamo alle ombre, alle polveri, alle nubi, ma anche agli arbusti e ai cavi metallici che brillano tra le piante ormai simbiotiche con la tecnologia imperante. Se c’è una cosa che Inner Chains fa benissimo, è quella di regalare alcuni scorci mozzafiato e alcune delle più impressionanti, surreali, visionarie ambientazioni.

BELLISSIMO DA GUARDARE

Mosso dall’immarcescibile tecnologia Unreal Engine che ci accompagna da quasi vent’anni, ormai, Inner Chains spreme a fondo l’hardware di ultima generazione per restituire uno dei giochi più dettagliati e singolari degli ultimi tempi.

Fra letali piante attivabili tramite pulsanti, interruttori costruiti sulle teste di malcapitati, armi per metà tecnologiche e per metà organiche e personaggi secondari ben dettagliati e discretamente animati, sia da vedere che da fotografare non ha nulla da farsi rimproverare. I problemi sorgono quando si smette di ammirare e si inizia a giocare, perché tra fluidità incerta, instabilità assoluta (il gioco ci ha costretto al forzoso riavvio di un Pc che ci permette di giocare, in totale tranquillità, titoli molto onerosi quali The Witcher 3 o Crysis 3) e, in generale, una grande mancanza di ottimizzazione, Inner Chains non vince la palma come il gioco più convincente sul fronte tecnico da ogni lato lo si guardi.

UN PO’ MENO DA GIOCARE

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Per l’intero primo capitolo di gioco Inner Chains si presenta come un gioco narrativo in prima persona (passateci la terminologia): ricorda le scelte di gameplay del recentissimo Get Even da poco recensito su queste pagine. Poca azione, tanto da camminare, da osservare, da leggere sebbene i caratteri utilizzati siano inventati e quindi, di fatto, illeggibili (per fortuna arrivano in soccorso dei disegni). La sensazione di avere tra le mani un gioco in cui non si spara oppure si spara poco svanisce con il passare del primo capitolo. Basta il tempo di imbracciare la prima, strana, biotecnologica, arma elettrica per capire che Inner Chains si ispira più ad un Painkiller che ad un Amnesia.

Il più grande dispiacere che dà Inner Chains è proprio dato dal “gunplay”, parola di conio recente che indica tutti gli aspetti del gameplay che ruotano intorno all’uso di armi più o meno convenzionali. La fatica di Thelepaths Tree non riesce ad incidere né a far breccia là dove avrebbe dovuto “spaccare”; là dove molti degli sviluppatori che operano all’interno dello studio hanno scritto pagine di storia sugli sparatutto in prima – soprattutto – e in terza persona.

Le sensazioni, quando si passa all’azione, sono piatte, le emozioni appena percettibili. Se non fosse per il grandissimo lavoro svolto su ambientazioni e suoni, sarebbe un totale fallimento, invece dobbiamo evidenziare quanto sia privo di enfasi solo il fronte più importante di tutta la baracca.

Non aiuta a salvare qualche capra o qualche cavolo l’intelligenza artificiale, decisamente fuori tempo. Non ci aspettavamo i virtuosismi – mai più raggiunti – di F.E.A.R. ma certamente qualcosa di più convincente di uno blando tiro a segno su nemici che stanno lì ad attaccare senza pensare alla propria pellaccia.

Alcune patch che hanno rattoppato e messo pezze, lì dove i buchi erano più evidenti, sono già approdate a limare gli spigoli di troppo che contornano il gioco. Al prezzo davvero budget a cui viene venduto, viene voglia di perdonargli questo e molto altro, ma le alternative decisamente migliori e di superiore caratura, allo stesso prezzo, si sprecano. Come l’occasione che ha mancano Thelepats Tree con questo Inner Chains, allo stato attuale solo un bellissimo quadro che cammina (claudicante).

COMMENTO FINALE

Inner Chains è un esperimento riuscito solo a metà e per tale ragione decidiamo di valutarlo esattamente a metà strada fra il fallimento totale e l’assoluto successo. Si presenta come uno sparatutto in prima persona totalmente single-player ma per il primo capitolo di gioco non fa altro che prenderci per mano nel vano tentativo di immergerci nel personaggio e nell’ambientazione. Quest’ultima è ispiratissima, ci è piaciuta davvero molto perché raramente ci siamo ritrovati in un mondo post apocalittico, biomeccanico (qualcuno a detto Horizon: Zero Dawn?) ma dalle tinte decisamente oscure e horror. Peccato che immedesimarsi con il protagonista non sia stato mai facile o naturale.

Tecnicamente, anche qui, a metà strada fra paradiso e inferno: l’introduzione in computer grafica è ben fatta, intrigante e – da amanti delle “intro” degli anni ‘90 – aiuta a calarsi moltissimo nel contesto futuristico e oscurantistico ordito per noi da Telepaths Tree. Arrivati in gioco, la grafica affidata ad Unreal Engine 4 e ad una dovizia di particolari che ha del certosino lascia a bocca aperta ma – di contro – l’assoluta insufficienza di ottimizzazione, la scadente fluidità e – nel caso di scheda video AMD, quale noi abbiamo – frequenti crash anche con i driver video aggiornati all’ultimo disponibile non aiuta a godersi lo spettacolo. Le patch non sono mancate e hanno reso l’esperienza certamente più stabile ma non ottimale: c’è ancora molta strada da fare.

Sul fronte prettamente giocoso assistiamo, anche qui, a trovate interessanti contornate da un’approssimazione che fa male all’esperienza: poche armi a disposizione ma ben disegnate e dagli effetti speciali buoni vengono affiancate da una “fisicità” e da una sensazione di essere lì che – di fatto – non esiste. E’ un vero peccato, perché tra lavoro di dettaglio grafico, suoni e musiche ben integrati tra loro, illuminazione e scenari da ricordare, gli ingredienti di base per fare il botto c’erano tutto, ma alla fine, per noi, si è trattato di un tonfo. Peccato.

Pregi

Introduzione in computer grafica memorabile. Tutto sommato onesto nel suo essere uno sparatutto fuori dagli schemi. Graficamente estremo, evocativo, ottimo per gli screenshot…

Difetti

…ma pessimo da giocare. Per niente ottimizzato. Sembra la versione dark e horror di Dark Messia of Might & Magic, con una “fisicità” peggiore, anzi, assente. Necessità di molta ottimizzazione, patch di correzione e pazienza. Astenersi amanti del multiplayer, anche solo cooperativo.

Voto

5,5

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