Editoriale

Violenza nei videogiochi, quando l’allarme diventa infondato

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Ci risiamo. Dalle pagine generaliste, più o meno, della stampa arrivano accuse ai videogiochi. Le solite, per carità: violenza in generale, violenza sulle donne ed altro.

Il tutto arriva dalle righe del blog La Ventisettsima Ora curato da Sabrina Salvadori ed ospitato sulle prestigiose pagine online de IlCorriere.it.

Si ritorna a parlare di Grand Theft Auto V. Della sua violenza e del fatto che l’autrice del blog, Sabrina Salvadori, pediatra specializzata in neonatologia, abbia rischiato di regalare al proprio figlio di 11 anni il gioco in questione.

Sul blog si legge come il bimbo le abbia chiesto il gioco descrivendolo innocentemente, in risposta ai chiarimenti della madre che chiedeva di cosa si trattasse, come un gioco di corse d’auto ad inseguimenti. Lei, alle parole “Ce l’hanno tutti, adesso è uscita una versione nuova, è bellissimo, si chiama GTA V, ti prego mamma, me lo compri?” non ha saputo dire di no.

Andando in negozio, si decide di prenotare il gioco non disponibile in quel momento in quanto esaurito. In questo lasso di tempo, la signora Salvadori partecipa ad un convegno dove viene spiegato come GTA V sia “Un’istigazione alla violenza, anche sessuale, al crimine ed al femminicidio…”.

I presenti leggono anche dei commenti di ragazzini che “godevano e ridevano e si compiacevano di avere ucciso una prostituta e di averle anche rubato i soldi che aveva guadagnato con una prestazione sessuale”.

E questo è quanto si riferisce ai fatti. Le considerazioni della Salvadori fanno il resto. La professionista si domanda come mai possano esistere giochi del genere. E perché questi siano venduti.

La Salvadori si chiede anche come “i ragazzi possono anche scaricarlo da internet, quindi completamente al di fuori del controllo dei genitori”.

Commentando poi, di fronte alle informazioni sull’enorme successo commerciale del titolo di Rockstar, si indigna perché “in pochi giorni dalla sua uscita nel mercato ha fatto guadagnare ai suoi produttori più di quattro volte quello che è costato per produrlo”.Il suo commento è eloquente: “che schifo”.

Carissima signora, carissimi professionisti, mi permetto di dirvi umilmente che vi sfugge qualche cosa. In primis, esiste un sistema di classificazione dei videogiochi. In Europa si chiama PEGI (in Nord America è l’ESRB, in Giappone il CERO e così via). Sarà una sorpresa per molti, ma la classificazione dei videogiochi per evitare vendite inappropriate esiste dal 2003. Piuttosto sarebbe giusto imporlo per legge anche da noi in Italia benché le case editrici, anche quelle indipendenti, non lo omettono.

E’ giusto, inoltre, ricordare anche che ci sono sistemi elettronici per consentire ai genitori di impostare le console nel modo dovuto in modo da evitare che i figli possano giocare con titoli quanto meno inappropriati.

Nondimeno il blog ha anche parlato di poter scaricare il gioco in formato digitale: bene, ci vuole sempre l’accesso ad una carta di credito che a sua volta è gestita da un adulto e se lo si scarica dai siti pirata è chiaro che a prescindere si infrange una legge e di conseguenza è una cosa che non va fatta.

Le ricordo, signora, che scaricare film, musica e “giochi” da siti non ufficiali è comunque un reato. E per scaricarli legalmente bisogna acquistarli… acquisto che come già spiegato è legato ad una carta di credito gestita da un adulto.

Nel caso di Grand Theft Auto viene riportato come esista sulla confezione un grosso marchio rosso con su scritto 18. Questo vuol dire che è assolutamente (e giustamente) inadatto ad un bambino di 11 anni.

Anche i videogiochi vengono classificati come si fa per i film ed in alcuni casi vengono censurati, ad esempio ricordo che in Germania alcuni giochi hanno subito dei tagli (soprattutto in caso di presenza di mutilazioni).

Se il principio della classificazione vale per i film perché non deve essere lo stesso per i videogiochi? Perché, piuttosto che indignarsi sul fatto che esistono giochi di tale violenza (la filmografia è piena di pellicole horror splatter che adesso passano inosservate, ndr), non si approfondisce meglio l’argomento?

I videogiochi, come i film, la musica, l’arte in generale, sono una cosa seria. Non sono i “giochini”, ma non sono nemmeno mostri da evitare o da stigmatizzare. Piuttosto conoscere è sempre un bene per poter scegliere al meglio come comportarsi.

Non è vero che si è indifesi di fronte a tutto ciò. No, signora, per fortuna i mezzi educativi ci sono.

Se il bambino chiede GTA V (Grand Theft Auto V) gli si dice tranquillamente di no. Un no non uccide nessuno né preclude le sue capacità di crescere o né riduce la sua personalità ed autostima. Ed è anche educativo soprattutto se viene accompagnato da una spiegazione da parte dell’adulto che ha l’obbligo di guidare al meglio i propri figli.

A tal proposito vorrei ricordare un episodio che mi raccontò un mio lettore ed amico. Lui ha un negozio di videogiochi a Palermo, la mia città. Un giorno, circa quattro anni fa, si presenta una signora che chiede per il figlio Dante’s Inferno. Lui, scrupoloso, chiede quanti anni avesse il figlio ed accorgendosi che l’età non fosse adatta disse chiaramente (a suo discapito commerciale) che il gioco non era adatto a lui.

La risposta della madre è stata disarmante: “Se non lo gioca a casa, va dal compagnetto e lo va a giocare”.

Cosa fare a quel punto?

Tornando all’episodio raccontato dal blog La Ventisettesima Ora, dispiace che la dottoressa Salvadori abbia scoperto di Grand Theft Auto V da un convegno e fa male che le informazioni non siano complete perché purtroppo in Italia si continua a rimaner duri davanti al fenomeno videoludico.

Dispiace anche sapere che la Salvadori abbia pure chiesto ad una amica parlamentare di intervenire in alto.

L’amica in questione si chiama Ilaria Capua. Siamo li, le regolamentazioni esistono (e sarebbe piuttosto un bene renderle obbligatorie per legge anche se come già abbiamo scritto i publisher, anche piccolini, non si esimono dall’informare il pubblico su quale fascia di utenti sia adatto il proprio prodotto). Perché scomodare amicizie altolocate per un problema che dovrebbe e potrebbe essere risolto dagli stessi genitori?

Ad onor del vero la signora Salvadori fa autocritica. Signora, bene l’autocritica, ma non dia il resto delle colpe agli altri. Faccia un esame di coscienza più approfondito. E si ricordi sempre che un No è sempre più educativo ed indicato di certe prese di posizione a priori.

Non pensi solo allo scampato pericolo che avrebbe comunque evitato ugualmente se solo fosse stata attenta a quanto avrebbe comodamente letto sulla confezione, ma si informi realmente su cosa faccia suo figlio. Un bimbo ad 11 anni non dovrebbe nemmeno sapere cosa sia GTA V. La regolamentazione c’è. I siti specializzati pure. Leggiamo, senza far alzare polveroni.

E per chi è papà o mamma, compito divinamente sublime quanto a volte ingrato, il consiglio è quello di crescere assieme ai figli ed educarli al meglio non lasciandoli allo sbaraglio ma facendo capire quando è i momento di fare alcuni passi. In ogni campo, in ogni settore. Non va nemmeno bene esaltare il proprio figlio, o figlia, alla pratica sportiva che seppur sana, può far male. Ricordo che ogni tanto ho assistito ad alcuni spettacoli osceni offerti dagli stessi genitori in partite di calcio giovanile nella quale il pubblico, formato da adulti, incitava a far male all’avversario, diventato il nemico.

Chi scrive è cresciuto negli anni ’80, con i cartoni animati giapponesi (I Robottoni per intenderci) che vennero criticati come violenti (Dragonball è un cartone animato per signorine ad esempio, ndr).

Senza scomodare i parlamentari che dovrebbero lavorare su cose ancora più serie senza andare sull’onda emotiva di un problema che, con un po’ di attenzione, di fatto non esiste. Basta solo un po’ di attenzione e buon senso perché come si fa attenzione (scusate la ripetizione) con i programmi TV, si può senza dubbio usare la stessa accortezza con i videogiochi. Che non sono un male da esorcizzare ma una forma d’arte, di intrattenimento ed altro da conoscere e non da temere.

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3 commenti su “Violenza nei videogiochi, quando l’allarme diventa infondato”

  1. Il mio unico commento – oltre al fatto che l’articolo è ovviamente scritto molto bene – è che la gente è stupida. Secondo me alla gente piace far finta di aver paura e così s’inventa gli spauracchi. I videogiochi causano violenza? Be’, se mio padre inveisce contro un omosessuale fa bene, invece, è vero? La verità, come dici tu, è molto semplice: i genitori devono educare i bambini all’uso della tecnologia. Come gli insegnano ad attraversare la strada, così gli devono insegnare a navigare in rete. Ma siccome questo non avviene (e lasciano i bambini davanti al pc), si aspettano che lo faccia qualcun’altro (la parlamentare, in questo caso). Io dico: prendetevi le vostre responsabilità. Avete un figlio? Bene: dovete educarlo in TUTTO – sull’uso di Fb, dello smartphone, a mangiare educatamente, a non urlare in pubblico, a pulire dopo che hai sporcato e così via.

  2. Ottimo articolo, complimenti.
    Leggendolo mi sono ricordato che essere genitore oggi è un filino più difficile che nel passato.
    Colgo l’occasione per augurare Buon Natale.

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